È difficile riassumere in poco spazio le parole pronunciate dal Santo Padre, durante la propria visita alla città di Genova, sul lavoro e sulle distorsioni di una società e di sistemi economici che lo vedono non come centro etico e motore dell’attività imprenditoriale, ma solo come una risorsa da sfruttare e pagare il minimo possibile, se non da sfruttare gratuitamente fino a quando è possibile o opportuno per l’azienda. Per questo ho deciso di parlarne in tre articoli differenti, a partire da oggi.
Difficile sintetizzare, perché le parole di Papa Francesco sono una approfondita analisi del sistema economico e imprenditoriale italiano e internazionale: delle sue opportunità, le sue speranze e le sue storture; dei valori reali che dovrebbero guidare l’economia e la società, di quelli invece solamente dichiarati; della speculazione economica fatta magari sulla pelle dei lavoratori e di chi cerca invece di essere imprenditore in modo socialmente responsabile.
Difficile perché le risposte date dal Pontefice ad un imprenditore, un lavoratore, una rappresentante sindacale e una disoccupata, sono risposte a tutti coloro che simbolicamente rappresentano: quelle che asetticamente potremmo definire categorie di lavoratori, perchè anche l’imprenditore, quando come spiega il Pontefice non è uno speculatore, è un lavoratore. Ma le categorie sono un concetto astratto, inadeguato per ciò di cui ci parla il Santo Padre. Concetto inadeguato, perché in realtà nel mondo economico e del lavoro vivono, soffrono, lottano persone, e con loro le loro famiglie.
Così, quando risponde a Ferdinando Garrè, che lamenta “i tanti ostacoli – l’eccessiva burocrazia, la lentezza delle decisioni pubbliche, la mancanza di servizi e infrastrutture adeguate – che spesso non consentono di liberare le migliori energie” della città di Genova e di chi decide di essere imprenditore nel nostro paese, Papa Francesco risponde a tutti coloro che fanno impresa, come manager o come imprenditori, e indirettamente a coloro a cui danno lavoro.
Il Santo Padre spiega di aver voluto preparare le risposte, per la delicatezza delle questioni e perché il lavoro nella società odierna è messo a rischio: “conoscevo le domande – dichiara – e per alcune ho scritto idee per rispondere; e tengo anche la penna in mano per riprendere qualcosa che mi venga in mente al momento, per rispondere. Ma a queste domande sul mondo del lavoro ho voluto pensare bene per rispondere bene, perché oggi il lavoro è a rischio. E’ un mondo dove il lavoro non si considera con la dignità che ha e che dà”.
Dignità, una parola che Papa Francesco ha ripetuto più volte nel proprio pontificato, parlando di lavoro. Lo ha fatto anche nell’Udienza che la Santa Sede mi aveva accordato per una delegazione di lavoratori Sky, il 15 marzo scorso, in cui aveva auspicato anche una positiva soluzione della nostra vertenza, i lavoratori e le loro famiglie. Vertenza, lo ricordiamo, determinata da un piano di ristrutturazione dichiarato dall’azienda.
“Il lavoro – aveva affermato il Santo Padre nell’Udienza a cui abbiamo avuto l’opportunità di partecipare – ci dà dignità e i responsabili dei popoli, i dirigenti, hanno l’obbligo di fare del tutto perchè ogni uomo e ogni donna possa lavorare e così avere la fronte alta, guardare in faccia gli altri con dignità”. Togliere il lavoro per Papa Francesco, soprattutto quando ciò avvenisse senza ragioni reali, vuol dire quindi togliere dignità.
Ma negli incontri a Genova, il Santo Padre è andato molto oltre, esprimendo anche analogo auspicio per i lavoratori di altre aziende, tra cui Ilva e Ericsson, che prevedono esuberi analogamente a quanto prospettato da Sky in questi mesi. “Faccio una premessa” ha affermato. “La premessa è: il mondo del lavoro è una priorità umana. E pertanto, è una priorità cristiana, una priorità nostra, e anche una priorità del Papa. Perché viene da quel primo comando che Dio ha dato ad Adamo: «Va’, fa’ crescere la terra, lavora la terra, dominala». Una priorità, quindi, dobbiamo dire: un valore assoluto, non una utilità e un semplice strumento fungibile e intercambiabile per i datori di lavoro.
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