Il telescopio VLT dell’ESO ha ripreso la prima immagine confermata di un pianeta appena nato
Pubblichiamo nota ufficiale dell’ESO, che spiega anche che la spettroscopia mostra “un’atmosfera complessa” del nuovo pianeta. A margine del testo, il link al testo ufficiale sul sito web ESO – European Organisation for Astronomical Research in the Southern Hemisphere – Organizzazione europea per la ricerca astronomica nell’emisfero australe.
Prima immagine confermata di un pianeta appena nato, catturata dal VLT. Lo spettro rivela un’atmosfera complessa. SPHERE, uno strumento per la ricerca di pianeti installato sul VLT – Very Large Telescope – dell’ESO, ha catturato la prima immagine confermata di un pianeta, colto nel momento in cui si sta formando all’interno del disco di polvere che circonda una giovane stella. Il pianeta neonato si sta aprendo la strada nel disco primordiale di gas e polvere intorno alla giovanissima stella PDS 70. I dati suggeriscono la presenza di nubi nell’atmosfera del pianeta.
Alcuni astronomi, con a capo un gruppo del Max Planck Institute for Astronomy di Heidelberg, Germania, hanno catturato un’istantanea spettacolare di formazione planetaria intorno alla giovane stella nana PDS 70. Usando lo strumento SPHERE installato sul VLT Very Large Telescope dell’ESO – uno dei più potenti cercatori di pianeti in funzione – l’equipe internazionale ha realizzato la prima rilevazione robusta di un giovane pianeta, chiamato PDS 70b, che si sta tracciando un cammino nel materiale stesso da cui si formano i pianeti, intorno alla giovane stella *1.
Lo strumento SPHERE ha anche permesso di misurare la luminosità del pianeta a diverse lunghezze d’onda, in modo da poterne derivare alcune proprietà dell’atmosfera.
Il pianeta si distingue chiaramente nelle nuove osservazioni, visibile come un punto brillante alla destra del centro oscurato dell’immagine. Si trova a circa tre miliardi di chilometri dalla stella centrale, circa la distanza tra Urano e il Sole. L’analisi mostra che PDS 70b è un pianeta gigante gassoso con una massa pari ad alcune volte quella di Giove. La superficie del pianeta raggiunge temperature dell’ordine di 1000°C, rendendolo molto più caldo di qualsiasi pianeta del Sistema Solare.
La regione scura al centro dell’immagine è dovuta a un coronografo, una maschera che blocca la luce accecante della stella centrale e permette così agli astronomi di rilevare il disco, molto più debole, e i compagni planetari. Senza questa maschera, la debole luce del pianeta risulterebbe completamente affogata nell’intensa luce di PDS 70.
“I dischi intorno alle giovani stelle sono i luoghi di nascita dei pianeti, ma finora solo una manciata di osservazioni ha potuto trovarvi tracce di pianeti neonati”, spiega Miriam Keppler, alla guida dell’equipe che ha scoperto il pianeta in formazione in PDS 70. “Il problema è che finora la maggior parte dei candidati pianeti avrebbero potuto essere invece solo delle strutture nel disco.”
La scoperta del giovane compagno di PDS 70 è un risultato scientifico entusiasmante che ha già motivato nuovi approfondimenti. Un secondo gruppo, che include molti degli astronomi del gruppo che ha realizzato la scoperta, tra cui Keppler, ha continuato le osservazioni iniziali del giovane compagno planetario di PDS 70 in maggior dettaglio. Hanno prodotto la spettacolare immagine mostrata qui, ma sono anche riusciti a ottenere uno spettro del pianeta. Le analisi dello spettro indicano la presenza di nubi nell’atmosfera di PDS 70b.
Il compagno planetario di PDS 70 ha scolpito un disco di transizione – un disco protoplanetario con un gigantesco “buco” al centro. Le lacune interne erano note da decenni e si pensava che fossero prodotte dall’interazione disco – pianeta. Ora possiamo vedere per la prima volta il pianeta.
“I risultati di Keppler ci hanno fornito una nuova finestra sulle prime fasi, complesse e ancora poco chiare, dell’evoluzione planetaria,” commenta André Müller, a capo del secondo gruppo che ha studiato il giovane pianeta. “Dovevamo osservare un pianeta nel disco di una stella giovane per capire chiaramente il processo che porta alla formazione planetaria.” Determinando le proprietà fisiche e atmosferiche del pianeta, gli astronomi possono verificare i modelli teorici della formazione dei pianeti.
Sbirciare la nascita di un pianeta avvolta dalla polvere è stato possibile solo grazie alle impressionanti capacità tecnologiche dello strumento SPHERE dell’ESO, che studia esopianeti e dischi intorno a stelle vicine usando una tecnica nota come immagine ad alto contrasto – una vera sfida!. Anche se si riesce a bloccare la luce della stella con un coronografo, SPHERE deve comunque usare strategie di osservazione pianificate accuratamente e delicate tecniche di analisi dati per filtrare il segnale molto debole dei pianeti in formazione intorno a giovani stelle brillanti *2, a lunghezze d’onda ed epoche diverse.
Tomas Henning, direttore del Max Planck Institute for Astronomy e a capo di questi gruppi di ricerca, riassume così l’avventura scientifica: “Dopo più di un decennio di storzi immani per costruire questa macchina con tecnologia avanzata, ora SPHERE ci permette di raccogliere buoni risultati con la scoperta di pianeti neonati!”.
Note: *1 Le immagini del disco e del pianeta e lo spettro del pianeta sono stati ottenuti nel corso di due programmi di survey chiamati SHINE – SpHere INfrared survey for Exoplanets – e DISK – sphere survey for circumstellar DISK -. SHINE mira catturare l’immagine di 600 giovani stelle vicine nel vicino infrarosso sfruttando l’alto contrasto e la grande risoluzione angolare di SPHERE per scoprire e caratterizzare nuovi esopianeti e sistemi planetari. DISK esplora sistemi planetari giovani già noti e i loro dischi circumstellari per studiare le condizioni iniziali della formazione planetaria e l’evoluzione dell’architettura dei pianeti.
*2 Per estrarre il debole segnale del pianeta da quello della stella brillante vicina, gli astronomi usano un metodo sofisticato che sfrutta la rotazione terrestre. In questo modo osservativo, SPHERE continua a raccogliere immagini della stella su un periodo di parecchie ore, mantenendo lo strumento il più stabile possibile. Di conseguenza, il pianeta sembra ruotare lentamente, modificando la sua posizione sull’immagine rispetto all’alone stellare. Usando algoritimi numerici elaborati, le singole immagini vengono combinate in modo da filtrare tutte le parti dell’immagine che non si muovono durante l’osservazione, come il segnale dalla stella stessa. Così rimane solo quello che apparentemente si muove – rendendo visibile il pianeta. Link ESO.