Per la Cassazione, il lavoratore può registrare colleghi o responsabili come strumento di prova
Una importante Sentenza anche per casi di mobbing in azienda. La questione della liceità o meno di registrazioni effettuate da dipendenti come strumento di prova di comportamenti illeciti o illegittimi del datore di lavoro o dei colleghi era controversa. Resa ancora più complessa dalle normative vigenti sulla Privacy. Con differenti orientamenti giurisprudenziali su casi di questo tipo, e un orientamento attuale però prevalentemente favorevole da parte della Suprema Corte. Orientamento confermato e rafforzato con questa nuova Sentenza, 11322 del 10 maggio 2018. Che fuga anche gli eventuali dubbi sulla legittimità delle registrazioni in casi simili, dal punto di vista della privacy.
La Corte di Cassazione afferma infatti la legittimità delle registrazioni, e la non violazione della privacy, nel caso in cui il lavoratore effettui tali registrazioni per avvalersene in sede giudiziaria. Il caso affrontato dalla Suprema Corte è emblematico. Il lavoratore era infatti stato licenziato proprio per aver registrato conversazioni di alcuni colleghi, senza che loro ne fossero a conoscenza. Il dipendente era infatti stato colpito da un provvedimento disciplinare. Voleva in questo modo discolparsi, portando delle prove sul fatto contestatogli, e su situazioni e dinamiche relazionali in azienda. Dalle registrazioni emergeva tra l’altro una situazione conflittuale sul luogo di lavoro, a discapito dello stesso lavoratore colpito dalla sanzione disciplinare.
Il dipendente aveva così consegnato una chiavetta usb contenente i file audio al datore di lavoro. Che lo aveva invece licenziato per aver registrato i propri colleghi e per violazione della privacy. Il lavoratore aveva ovviamente impugnato il licenziamento, perdendo però il Giudizio in Primo Grado. Aveva così depositato ricorso alla Corte di Appello, che aveva invece dichiarato illegittimo il licenziamento. La Corte aveva infatti valutato che pur essendo i colleghi inconsapevoli delle registrazioni, non vi era stata alcuna violazione della privacy. La Corte di Cassazione, a cui era ricorso il datore di lavoro, ha confermato tale orientamento. Nessuna violazione della privacy quindi, anche se le persone non ne sono consapevoli, in caso di registrazioni come strumento di prova per far valere un proprio diritto in sede processuale.
Nessuna violazione della privacy quando il trattamento dei dati è strumento per la difesa o affermazione giudiziarie di un proprio diritto
La Suprema Corte ha valutato che – in riferimento alle normative sulla privacy – non vi è alcuna necessità di consenso preventivo quando il trattamento dei dati è finalizzato a difendere o rivendicare un proprio diritto in sede processuale. L’unica condizione è che tali dati siano trattati solo con tale fine, e solo per il periodo di tempo necessario. Nel caso in questione, il lavoratore aveva infatti il solo obiettivo di provare la conflittualità in azienda. E di portare prove contro la contestazione disciplinare falsa e forse strumentale che gli era stata mossa, e salvare il proprio posto di lavoro.
L’azienda ha quindi giustamente dovuto reintegrare il dipendente. Come accennavamo all’inizio di questo articolo, questa Sentenza della Corte di Cassazione stabilisce un precedente importante in casi simili. E ovviamente anche in casi di mobbing o stranining. Definendo un orientamento giurisprudenziale prevalente a favore di registrazioni effettuate solo come strumento di difesa, o per dimostrare violazioni contrattuali e comportamenti illegittimi, quando non illegali. I lavoratori vittime di straining o di mobbing – e come spesso avviene parallelamente anche di stalking da parte di colleghi e/o responsabili – hanno quindi uno strumento utile per difendersi. Documentando ad esempio dinamiche relazionali, eventuali provocazioni, sarcasmo, molestie, insulti, minacce. E possono così difendersi da eventuali comportamenti e sanzioni ritorsivi – estorsivi da parte di datori di lavoro e responsabili.