Pubblichiamo la recente Sentenza con cui la Corte di Cassazione ha confermato che il caso di mobbing rientra a tutti gli effetti tra le malattie indennizzabili dall’Inail. Per lavoratori vittime di mobbing sul lavoro è quindi possibile chiedere il risarcimento dei danni psichici, dal momento che il mobbing rientra tra le cosiddette malattie professionali. Approfondiamo e spieghiamo la Sentenza e le questioni connessa questa settimana, in un articolo di Paolo Centofanti, direttore Fede Ragione.
Corte di Cassazione sentenza n. 20774 depositata il 17 agosto 2018
Fatti di Causa
Con sentenza n. 294/2012 la Corte d’Appello di Perugia ha rigettato il gravame proposto da LA, in qualità di erede di PP deceduto nel corso del giudizio di primo grado, contro la sentenza con la quale era stata respinta la domanda intesa ad ottenere il riconoscimento della natura professionale della malattia cagionata al de cuius dalla condotta vessatoria tenuta nei suoi confronti dalla datrice di lavoro, l’Università degli Studi di Perugia, che aveva partecipato al giudizio a seguito di chiamata in causa da parte dell’Inail.
A fondamento della sentenza la Corte d’Appello confermava la conclusione cui era pervenuto il giudice di primo grado il quale aveva ritenuto non tutelabile nell’ambito dell’assicurazione obbligatoria gestita dell’Inail la malattia derivante non direttamente dalle lavorazioni elencate nell’articolo 1 del d.p.r. numero 1124/1965, bensì da situazioni di costrittività organizzativa, come il mobbing dedotto nel ricorso introduttivo, richiamandosi alla sentenza del Consiglio di Stato n. 1576 del 17 marzo 2009 la quale ha sostenuto che la malattia professionale per essere indennizzabile deve rientrare nell’ambito del rischio assicurato ex artt. 3 e 1, 3 0 comma T.U. 1124. Secondo la Corte d’Appello il rischio rilevante doveva essere comunque connesso, anche se indirettamente, con le lavorazioni di cui all’art. 1 del d.p.r. n. 1124 del 1965.
D’altra parte, come rilevava il tribunale di primo grado, mentre l’infortunio è oggetto di tutela assicurativa se avvenuto “in occasione di lavoro”, la malattia professionale in base all’articolo 3 è tutelabile a condizione che sia stata contratta “nell’esercizio e a causa delle lavorazioni” e quindi deve essere causalmente collegata alla specifica attività svolta dall’assicurato, mentre nessun rilievo può essere attribuita all’organizzazione del lavoro.
Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione LA con tre motivi di censura. L’Inail e l’Università degli Studi di Perugia resistono con controricorso. La ricorrente e l’Università degli Studi di Perugia hanno depositato memoria ex art. 312 c.p.c.
Ragioni della Decisione
1.- Con il primo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. e del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato anche con riferimento agli articoli 115, 416 436 c.p.c. ed al generale principio di non contestazione. Nullità della sentenza di secondo grado (articolo 360 n. 4 c.p.c.); ciò R.G.1364,72013 in quanto la Corte d’Appello di Perugia era incorsa nel vizio di ultrapetizione o extrapetizione avendo pronunciato oltre i limiti della domanda e dell’eccezioni proposte dalle parti ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio, essendo incontestato tra le parti che la costrittività organizzativa fosse indennizzabile ai sensi del d.p.r. n. 1124/1965, anche se non tabellata, ed attenesse comunque, ove provata in concreto da un rischio specifico cosiddetto improprio tutelato dagli- d.p.r. Il motivo, col quale si sostiene in sostanza che i giudici non potessero rilevare d’ufficio l’infondatezza del diritto fatto valere con la domanda, sotto il profilo della mancata copertura assicurativa da parte del DPR 1124/65 del rischio legato alla malattia in oggetto, è privo di fondamento, trattandosi piuttosto di una questione giuridica, come tale rilevabile d’ufficio e che pertanto prescinde dalle contestazioni o dalle ammissioni delle controparti.
2. Col secondo motivo viene dedotta violazione per applicazione degli artt. 1, 1° e 4° comma, 3, 4, 1° comma, e 66 e 74 del d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124 e dell’art. 13 del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 anche in relazione ai principi affermati dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione con riferimento all’elenco (lista 2, gruppo 7, voce 01) delle malattie professionali aggiornato; approvato con decreto del Ministero del Lavoro 11 dicembre 2009 emanato in attuazione degli artt. 139 del d.p.r. 1124 e 10, 1° comma del decreto legislativo n. 38/2000. Violazione dell’art. 115 c.p.c. (articolo 360 numero tre c.p.c.) avendo la Corte errato nel disconoscere la indennizzabilità delle malattie psicofisiche derivanti dalla costrittività organizzativa sul presupposto che essa non attenga mai ad un rischio specifico tutelabile dal d.p.r. 1124 del 1965; tanto più che il decreto del Ministro del lavoro dell’Il dicembre 2009 ha approvata una nuova tabella in cui ha inserito espressamente le disfunzioni della organizzazione del lavoro vale a dire la cosiddetta costrittiva organizzativa nella lista due.
2.1. Il secondo motivo è fondato, ritenendo questa Corte di dover confermare e consolidare l’orientamento espresso di recente con l’ordinanza n. 5066/2018, nella quale, giudicando un’analoga fattispecie, ha rilevato come la tesi su cui riposa la sentenza della Corte d’Appello di Perugia non risulti in linea con l’ordinamento vigente e con la costante e coerente evoluzione impressa da questa Corte di legittimità, cui soltanto l’ordinamento riserva la funzione di nomofilachia, al concetto di rischio tutelato ex art. 1 del TU, richiamato, ai fini delle malattie professionali, dal successivo art. 3.
2.2. Invero secondo il risalente e costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte in materia di assicurazione sociale di cui all’art.1 del DPR 1124/1965 rileva non soltanto il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il c.d. rischio specifico improprio; ossia non strettamente insito nell’atto materiale della prestazione ma collegato con la prestazione stessa: come questa Corte ha affermato in svariate occasioni (per le attività prodromiche, per le attività di prevenzione, per gli atti di locomozione interna, le pause fisiologiche, le attività sindacali) ai sensi dell’art. 1 TU in materia di infortuni sul lavoro (cfr., tra le tante, Cass. 13882/16, Cass.7313/2016, Cass. 27829/2009; Cass. 10317/2006, Cass. 16417/2005, Cass.7633/2004, Cass.3765/2004, Cass. 131/1990; Cass. 12652/1998, Cass. 10298/2000, Cass.3363/2001, Cass. 9556/2001, Cass.1944/2002, Cass.6894/2002, Cass.5841/2002„ Cass. 5354/2002). Lo stesso orientamento è stato riaffermato da questa Corte, a proposito dell’art.3 TU e delle malattie professionali, nella sentenza n. 3227/2011, con la quale la protezione assicurativa è stata estesa alla malattia riconducibile all’esposizione al fumo passivo di sigaretta subita dal lavoratore nei luoghi di lavoro, ritenuta meritevole di tutela ancorché, certamente, non in quanto dipendente dalla prestazione pericolosa in sé e per sé considerata (come “rischio assicurato”), ma soltanto in quanto connessa al fatto oggettivo dell’esecuzione di un lavoro all’interno di un determinato ambiente.
2.3. L’evoluzione in discorso si riallaccia pure a quella registrata a livello normativo nell’ambito dell’infortunio in itinere, ai sensi dell’art.12 del d.lgs. 38/2000, il quale esclude in realtà qualsiasi rilevanza all’entità professionale del rischio o alla tipologia della specifica attività lavorativa cui l’infortunato sia addetto; apprestando tutela ad un rischio generico (quello della strada) cui soggiace, in realtà, qualsiasi persona che lavori (Cass.7313/2016).
2.4. Ulteriore estensione dell’ambito della tutela assicurativa è stata realizzata sulla scorta della nozione centrale di rischio ambientale, che vale oggi a delimitare tanto oggettivamente le attività protette dall’assicurazione (lo spazio entro il quale esse si esercitano, a prescindere dalla diretta adibizione ad una macchina); quanto ad individuare i soggetti che sono tutelati nell’ambito dell’attività lavorativa (tutti i soggetti che frequentano lo stesso luogo a prescindere dalla “manualità” della mansione ed a prescindere dal fatto che siano addetti alla stessa macchina). Tanto in conformità al principio costantemente affermato dalla giurisprudenza costituzionale secondo cui a parità di rischio occorre riconoscere parità di tutela (con riferimento al rischio ambientale, Corte Cost. 4.7.74 n.206; 9.7.1977 n.114). In tal senso questa Corte si è espressa a Sez. Unite con la pronuncia 3476/1994 rapportando la tutela assicurativa “al lavoro in sé e per sé considerato e non soltanto a quello reso presso le macchine”, essendo appunto la pericolosità data dall’ambiente di lavoro.
2.5. E ancora, nella stessa direzione muove, soprattutto, la nota sentenza della Corte Cost. n. 179/1988 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 3, comma primo, del testo unico numero 1124 del 1965 nella parte in cui non prevede che “l’assicurazione contro le malattie professionali nell’industria è obbligatoria anche per le malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate concernenti le dette malattie e da quelle causate da una lavorazione specificata”, talché, come riconosciuto da questa Corte con sentenza n. 5577/1998, l’assicurazione contro le malattie professionali è obbligatoria per tutte le malattie anche diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate al citato testo unico e da quelle causate da una lavorazione specificata o da un agente patogeno indicato nelle tabelle stesse, purché si tratti di malattie delle quali sia comunque provata la causa di lavoro. Pertanto non può essere seguita la tesi espressa dalla sentenza impugnata secondo cui sarebbe da escludere che l’assicurazione obbligatoria copra patologie non correlate a rischi considerati specificamente nelle apposite tabelle; posto che, al contrario, nel momento in cui il lavoratore è stato ammesso a provare l’origine professionale di qualsiasi malattia, sono necessariamente venuti meno anche i criteri selettivi del rischio professionale, inteso come rischio specificamente identificato in tabelle, norme regolamentari o di legge; non potendosi sostenere che la tabellazione sia venuta meno solo per la malattia e sia invece sopravissuta ai fini dell’identificazione del rischio tipico, ai sensi degli artt. 1 e 3 del TU.
2.6. Tale interpretazione è oggi confermata testualmente dall’art. 10 comma 4 Legge 2000 n. 38 dal quale risulta che “sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle di cui al comma 3 delle quali il lavoratore dimostri l’origine professionale”. L’approdo, cui conduce questo lungo excursus, porta dunque ad affermare che, nell’ambito del sistema del TU, sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l’organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione; dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica (come peraltro prevede oggi a fini preventivi l’art. 28, comma 1 del tu. 81/2008). Pertanto, ed in conclusione, ogni R.G.136492013 forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa risulta assicurata all’INAIL, anche se non è compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo in tale caso il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia.
2.7. A tale ricostruzione fa altresì riscontro il fondamento della tutela assicurativa, il quale ai sensi dell’art.38 Cost., deve essere ricercato, non tanto nella nozione di rischio assicurato o di traslazione del rischio, ma nella protezione del bisogno a favore del lavoratore, considerato in quanto persona; dato che la tutela dell’art. 38 non ha per oggetto l’eventualità che l’infortunio si verifichi, ma l’infortunio in sé; ed è questo e non la prima l’evento generatore del bisogno tutelato, sia in termini individuali che sociali, posto che, come riconosciuto dalla Corte Cost. I”oggetto della tutela dell’art.38 non è il rischio di infortuni o di malattia professionale, bensì questi eventi in quanto incidenti sulla capacità di lavoro e collegati da un nesso causale con attività tipicamente valutata dalla legge come meritevole di tutela” (sentenza n.100 del 2.3.1991).
2.8. In tale ottica, pertanto, non può neppure sostenersi che il premio assicurativo INAIL abbia la funzione di delimitare la tutela assicurativa a rischi precisamente individuati in base alle tabelle; assolvendo invece la precipua funzione di provvedere al finanziamento del sistema, in conformità ai requisiti costitutivi della tutela nei termini fin qui ricostruiti: “il distacco dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro dal concetto statistico-assicurativo di rischio, al quale era originariamente legata (distacco che può considerarsi compiuto con la sentenza di questa Corte numero 179 del 1988) è sollecitata da un’interpretazione dell’articolo 38, secondo comma, coordinata con l’articolo 32 della costituzione allo scopo di garantire con la massima efficacia la tutela fisica e sanitaria dei lavoratori” (ancora Corte Cost. n.100/1991).
3.- Col terzo motivo viene dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in quanto la Corte d’Appello aveva del tutto omesso di esaminare il fatto per cui il signor PP sin dal 1997, nell’esercizio delle sue mansioni di bibliotecario e delle attività complementari assegnategli presso l’Università di Perugia, aveva subito un notevole stress lavorativo derivante da una serie di fatti che si erano succeduti in maniera sistematica e che avevano comportato il progressivo insorgere e consolidarsi della malattia depressiva, sindrome dell’adattamento di cui aveva chiesto l’indennizzabilità all’Inail.R.G.13641j/2013 Il motivo, riguardante questioni di fatto logicamente subordinate rispetto alla questione concernente l’indennizzabilità della malattia in discorso, deve ritenersi assorbito.
4. Sulla scorta delle precedenti considerazioni il secondo motivo di ricorso va quindi accolto; mentre va rigettato il primo motivo e dichiarato assorbito il terzo. La sentenza va quindi cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa per un nuovo esame al giudice designato in dispositivo, il quale si atterrà ai principi sopra formulati in materia di tutela della malattia professionale discendente dall’organizzazione del lavoro; e provvederà alla statuizione sulle spese anche di questa fase del giudizio. 5. In considerazione dell’esito del ricorso non sussistono i presupposti stabiliti dalla legge per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, dichiara assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte di Appello di Firenze.