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Inaf: come pesare pianeti e asteroidi, tramite i segnali emessi dalle pulsar

L’utilizzo dei segnali emessi dalle pulsar e captati dai radiotelescopi terrestri, come strumento per la ricerca astrofisica, per studiare pianeti e altri corpi celesti. Una ricerca definita da studiosi del Max Planck Institute e dell’Inaf di Cagliari. Pubblichiamo testo integrale dell’INAF – Istituto Nazionale di Astrofisica.

Pesare pianeti e asteroidi, grazie alle pulsar

Lo studio, al quale hanno partecipato ricercatrici e ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, ha permesso di utilizzare i segnali emessi dalle pulsar per misurare la massa di pianeti ed asteroidi del Sistema solare con una tecnica indipendente da quelle finora utilizzate. Utilizzare gli impulsi radio emessi dalle pulsar, stelle di neutroni in rapidissima rotazione, per misurare, con grande precisione e in modo indipendente dai sistemi finora utilizzati, la massa di pianeti e asteroidi del nostro Sistema solare.

A farlo è stato un team internazionale guidato da ricercatori dell’Istituto Max Planck per la radioastronomia a Bonn in Germania – MPIfR e a cui hanno partecipato anche Delphine Perrodin, Marta Burgay ed Andrea Possenti dell’Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF a Cagliari, utilizzando una tecnica presentata nel 2010. Il team è riuscito a ottenere, ad esempio, una accurata stima della massa del pianeta nano Cerere, che è pari all’1,3 per cento di quella della Luna. Con la sempre migliore accuratezza dei dati raccolti dai radiotelescopi di nuova generazione, e soprattutto SKA, lo Square Kilometre Array, gli astronomi avranno a disposizione un ulteriore strumento per indagare la eventuale presenza di corpi celesti massicci ai confini estremi del Sistema solare.

La tecnica utilizzata, presentata otto anni fa dal gruppo di scienziati guidati da David Champion, ora al al MPIfR, sfrutta misure ad altissima precisione degli intervalli di tempo con cui vengono emessi gli impulsi prodotti da un certo numero di pulsar al millisecondo sparse nel cielo. Gli astronomi osservano segnali periodici in banda radio provenienti da questi oggetti celesti, come la luce emessa da un faro. A differenza dei fari, però, le pulsar ruotano su sé stesse con velocità estreme, fino a diverse centinaia di volte al secondo, e per questo i segnali da loro emessi si ripetono con intervalli di solo qualche millesimo di secondo con una grandissima regolarità e costanza nel tempo.

“Utilizzando modelli sofisticati che descrivono la loro rotazione, possiamo prevedere il tempo di arrivo degli impulsi di pulsar al millisecondo con una precisione dell’ordine di un paio di centinaia di nanosecondi nell’arco di alcuni decenni” dice Nicolas Caballero del MPIfR, ora in forza all’Istituto Kavli per l’astronomia e l’astrofisica all’Università di Pechino, primo autore dell’articolo pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. “Questa loro proprietà ci permette di utilizzarle come eccezionali orologi celesti per svariate applicazioni”.

Il moto della Terra attorno al Sole rende complicato l’uso diretto degli segnali delle pulsar registrati al momento dell’arrivo ai radiotelescopi. Gli astronomi aggirano questo problema ricalcolando i tempi di arrivo rispetto a un sistema di riferimento comune, ovvero il centro di massa dell’intero Sistema solare, il cosiddetto “baricentro del Sistema solare”.

Dai dati raccolti da osservazioni e missioni spaziali, vengono prodotte le effemeridi che descrivono le orbite dei corpi celesti del Sistema solare. Se le effemeridi fossero calcolate utilizzando valori errati della massa di pianeti, lune e asteroidi, si verificherebbe uno sfasamento tra la posizione del baricentro vera e quella predetta che, a sua volta, porterebbe ritardi e avanzamenti periodici nel tempo di arrivo previsto dei segnali delle pulsar monitorate.

“Il metodo escogitato in questo lavoro è nel solco di quello che venne utilizzato più di un secolo e mezzo fa per la scoperta di Nettuno” ricorda Possenti. “Allora l’astronomo e matematico Urbain Le Verrier utilizzò le perturbazioni “inspiegate” nell’orbita di Urano per prevedere la presenza dell’ottavo pianeta del Sistema Solare, poi osservato direttamente da Galle e d’Arrest nel 1846. Con il nuovo metodo la presenza di una pianeta si manifesta nelle perturbazioni, altrimenti inspiegate, nei tempi di arrivo dei segnali di una schiera di pulsar a millisecondo”.

Utilizzando i più recenti dati pubblicati dall’International Pulsar Timing Array – IPTA, gli astronomi sono così riusciti a migliorare l’accuratezza generale di tali errori sulle masse di ben dieci volte rispetto alle prime applicazioni di questa tecnica che risalgono al 2010. “Queste misure, inoltre, sono destinate a migliorare ancora nei prossimi anni” commenta Delphine Perrodin. “Con la tecnica del “timing” infatti, più si accumulano osservazioni di pulsar e misurazioni accurate del loro ticchettio, più aumenta la precisione con cui si potranno determinare le masse dei pianeti, e non solo. Anche l’entrata in campo di nuovi telescopi moderni, come il Sardinia Radio Telescope e altri strumenti di nuova generazione, ci permetterà di ottenere risultati sempre più precisi”.

Cerere, recentemente riclassificato come pianeta nano, è l’oggetto più massiccio nella fascia degli asteroidi. L’analisi effettuata con i dati dell’IPTA ha stimato che la sua massa è 0, 44 miliardesimi di quella del Sole o l’1,3 per cento della massa della Luna. La precisione della misura è solo di un ordine di grandezza inferiore alle migliori stime attuali che utilizzano altre tecniche. Il lavoro presentato riporta misurazioni di massa di altri quattro asteroidi del Sistema solare.

“Quello presentato nel nostro lavoro è solo uno dei molteplici risultati che la collaborazione dell’International Pulsar Timing Array sta permettendo di ottenere, sulla strada che, nei prossimi anni, promette di condurci alla misurazione diretta di onde gravitazionali emesse dai mastodontici buchi neri che si trovano al centro delle galassie” aggiunge Marta Burgay. “Captare queste effimere onde che incurvano lo spazio e il tempo è infatti l’obiettivo ultimo di questo esperimento planetario di altissima precisione”.

Ma non è tutto: il team ha utilizzato i dati dell’IPTA per cercare la possibile presenza di corpi celesti ancora sconosciuti nella periferia del Sistema solare, fornendo dei limiti massimi a quella che potrebbe essere la loro massa, qualora ci fossero davvero.

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