Nei casi di mobbing tra i più patetici e tristi complici possiamo considerare colleghi, collaboratori, amici, vicini, parenti – in qualche caso persino familiari stretti – che si rendono complici non per paura, ma perché sperano così di “vendersi” e/o di guadagnare qualche vantaggio … . Come se aziende e manager – e loro complici – che fanno mobbing rispettassero eventuali promesse informali, che oltretutto diverrebbero a dir poco scomode e pericolose in Giudizio … .
Alcuni, in casi particolarmente gravi – anche dal punto di vista psichiatrico oltre che etico e legale – sono persino spontaneamente proattivi nel cercare alleanze e complicità, pur di poter in qualche modo emergere nella cerchia lavorativa o familiare o parentale, e emergere socialmente. Obiettivo altrimenti impossibile a causa spesso di gravi limiti e carenze personali. Perché, ricordiamolo, non sono mai i più capaci a fare mobbing … .
Purtroppo questo è ciò che accade quando si hanno colleghi o persino parenti o familiari malati di protagonismo e con velleità irrealizzabili, o persino mire di eredità e altri guadagni illegittimi. Mire a cui i colleghi e capi mobber si prestano bel volentieri. Dal momento che il loro obiettivo è annientare la propria vittima e ridurla a meno di uno schiavo. Ovvero annullare il dipendente/collega come persona.
In casi recenti – per quel poco che è arrivato a Giustizia e stampa – vi sono stati persino colleghi che hanno obbligato vittime di mobbing a cedere o svendere casa o altre proprietà immobiliari. La cessione – estorsione – dei propri meriti e diritti è invece, come sappiamo, uno standard del mobbing nelle società malate. Però alcuni politici e intellettuali continuano a sostenere che il mobbing è uno pseudoproblema e non serve una Legge … .
Paolo Centofanti, direttore Fede e Ragione