Ecco le stelle perdute di Omega Centauri.
Identificato un gruppo di stelle che l’ammasso globulare Omega Centauri, situato nella nostra Galassia e distante circa 18 mila anni luce da noi, sta perdendo, strappate via dalla forza mareale della Via Lattea. Omega Centauri potrebbe essere quel che rimane di una galassia nana in parte disgregata dall’interazione con nostra Galassia.
Un team di ricercatori dell’Osservatorio Astronomico di Strasburgo, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica e dell’Università di Stoccolma ha identificato le stelle che l’ammasso globulare Omega Centauri, situato nella nostra Galassia e distante circa 18 mila anni luce da noi, sta perdendo, strappate via dalla forza mareale della Via Lattea. Le cosiddette “code mareali” individuate dal team attorno all’ammasso e la loro distribuzione nello spazio suggeriscono che Omega Centauri sia in realtà ciò che rimane di una galassia nana in parte disgregata dall’interazione con nostra Galassia. I risultati di questo studio, pubblicato in un articolo sull’ultimo numero della rivista Nature Astronomy, sono stati ottenuti grazie all’analisi degli accuratissimi dati sulla posizione e i moti propri stellari forniti dalla missione Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea, che vede una importante partecipazione scientifica dell’Italia con l’Istituto Nazionale di Astrofisica e l’Agenzia Spaziale Italiana che partecipano al Data Processing and Analysis Consortium – DPAC.
Nel 1677, Edmond Halley diede il nome di “Omega Centauri” – ω Cen a quello che pensava fosse una stella nella costellazione del Centauro. Più tardi nel 1830 John Herschel capì che si trattava in realtà di un ammasso globulare che poteva essere risolto in singole stelle. Oggi sappiamo che Omega Centauri è il più massiccio ammasso globulare nella Via Lattea, a circa 18.000 anni luce da noi e composto da diversi milioni di stelle che hanno un’età di approssimativa di 12 miliardi di anni. La natura di Omega Centauri è stata a lungo dibattuta, sul fatto che fosse davvero un ammasso globulare o invece il cuore di una galassia nana che ha perso le stelle più periferiche, oggi sparse nella Via Lattea.
Quest’ultima ipotesi si basa sul fatto che ω Cen contiene diverse popolazioni di stelle, con una vasta gamma di metallicità (cioè il contenuto di elementi chimici pesanti) che tradiscono processi di formazione stellare protratti in un lungo periodo di tempo, tipici dell’evoluzione di una galassia. I ricercatori sono andati letteralmente a setacciare le regioni circostanti all’ammasso, alla ricerca di stelle “perse” lungo la sua orbita all’interno della Via Lattea. Infatti, quando una galassia nana interagisce con una galassia massiccia come la nostra, almeno una parte delle sue stelle le viene strappata dalla forza di marea. Le stelle strappate dall’ammasso non sono più gravitazionalmente legate ad esso ma hanno orbite simili, e dunque si dispongono in strutture strette e allungate sul percorso dell’orbita (le code mareali), che possono rimanere coerenti anche per lungo tempo.
Analizzando i movimenti delle stelle misurati dal satellite Gaia con un algoritmo chiamato Streamfinder sviluppato dal team, i ricercatori hanno identificato diversi flussi di stelle. Uno di loro, chiamato “Fimbulthul”, dal nome di uno dei fiumi primigeni della mitologia nordica, contiene 309 stelle che si estendono nel cielo per un’ampiezza di oltre 18 gradi.
“Modellando le traiettorie delle stelle, abbiamo scoperto che la struttura di Fimbulthul è una corrente di marea composta da stelle strappate da ω Cen, che si estende nel cielo fino a grande distanza dall’ammasso” commenta Michele Bellazzini, dell’INAF di Bologna, che ha partecipato allo studio. “A partire da questo dato iniziale siamo riusciti ad escogitare un criterio di selezione che ha permesso di tracciare le code mareali a partire dall’ammasso fino a congiungersi con Fimbulthul. Le osservazioni spettroscopiche di cinque stelle di questo flusso effettuate con il Canada-France Hawaii Telescope mostrano che le loro velocità sono molto simili e che hanno delle metallicità paragonabili alle stelle di Omega Centauri. Tale proprietà rafforza l’idea che il flusso di marea sia collegato a proprio a quell’ammasso”.
I dati delle proprietà dinamiche delle stelle di Omega Centauri e di quelle nelle regioni ad esso circostanti ottenuti dalla missione Gaia e l’algoritmo sviluppato ad hoc ha permesso ai ricercatori sono di dimostrare la presenza di questo flusso stellare anche in una zona del cielo con un’alta densità di stelle della nostra galassia. “Il prossimo passo sarà quello di migliorare il modello teorico che descrive questa struttura, per ricostruire con maggiore precisione la storia evolutiva della galassia nana progenitrice di ω Cen” conclude Bellazzini “Ci aspettiamo così di trovare ancora più stelle perse da questo oggetto celeste nell’alone della Via Lattea”.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Astronomy nell’articolo Identification of the long stellar stream of the prototypical massive globular cluster ω Centauri di Rodrigo A. Ibata, Michele Bellazzini, Khyati Malhan, Nicolas Martin e Paolo Bianchini.