Casi della realtà: social network e mobbing, un connubio micidiale, a cui spesso si aggiunge lo stalking. Aggravato dall’ignoranza dei mobber aziendali su come funzionano i social network.
Come lavoratore, come giornalista e come cittadino trovo gravissimo, dal punto di vista umano, etico e aziendale, che un manager, un responsabile o un addetto di HR si attivi per invadere la sfera privata, personale e espressiva di un dipendente, se non ci sono reali ragioni aziendali. A maggior ragione quando i social diventano persino un perverso strumento di stalking utilizzato illegalmente da mobber e complici entusiasti.
Pure per tali ragioni con il giornale Fede e Ragione abbiamo lanciato su Change.org una Petizione contro cyberstalking, cyberbullismo e cybermobbing. Una iniziativa parallela e connessa alla Petizione per una Legge contro mobbing e mobber e a sostegno delle vittime. Che ad oggi è stata firmata da oltre sessantamila persone, e che potete firmare anche in modo anonimo, ricordandovi però sempre di dare conferma all’email che vi arriverà da Change.
Senza dimenticare che nelle aziende in cui si verificano azioni di mobbing, la “legge aziendale” non è uguale per tutti, a differenza della Legge dei Tribunali. Quando le accuse vanno persino oltre i reali modi di funzionamento dei social network.
Così la vittima di mobbing deve difendersi da accuse pretestuosi, infondate, e persino create ad hoc. E trovare strategie per prevenirle e per sopravvivere, non solo aziendalmente. Allo stesso tempo, i comportamenti illegittimi o persino illegali di privilegiati e ultraprivilegiati, e degli stessi mobber – spesso coincidono per ovvie ragioni o per semplice divertimento – sono ignorati, tutelati, o persino incoraggiati e mostrati come perversi “esempi”.
Esempi della regola non scritta, ma implicitamente ripetuta ogni giorno, dell’affermazione arrogante del proprio potere. Al di sopra – presuntamente – della stessa Legge, dei lavoratori e, per ultimi, delle vittime di mobbing. Tranne quando poi si arriva in Tribunale. Dove le strategie e le menzogne dei mobber, e dei loro complici si infrangono sempre più spesso contro le decisioni dei Giudici, la Giurisprudenza, l’inaffidabilità dei complici presunti testimoni, la logica, le prove e le registrazioni del lavoratore mobbizzato.
Contestare su Facebook, Instagram, Pinterest ? Almeno prima informarsi. Parliamo di casi autentici.
Come lavoratore, e come manager no profit, trovo gravissimo anche dal punto di vista professionale, che un manager, un responsabile o un addetto di HR si attivi per contestazioni disciplinari senza nemmeno conoscere la materia in questione. Ovvero senza nemmeno sapere come funzionano realmente i social network. Ad esempio senza sapere che in diversi casi i post e le condivisioni sono programmabili, sia sulla stessa app o pagine web del social, sia tramite appositi app e tools.
Che se il cellulare, il tablet o il pc si spegne, o perde la connessione, mentre si sta pubblicando, il post verrà condiviso quando il dispositivo sarà riacceso e/o di nuovo connesso. Che quando si condivide su un gruppo Facebook moderato da un amministratore, il post apparirà come se fosse stato pubblicato nel giorno e orario di approvazione. E non quando la persona l’ha prepubblicato sul gruppo stesso.
Oppure senza sapere ad esempio – sarebbe sufficiente capire leggendo … ? – che quando si mette in evidenza un post su Facebook, o in Promozione una immagine su Instagram, questa sarà approvata diverse ore dopo, anche dopo un giorno o più in certi casi. E apparirà ripetutamente fino alla scadenza prefissata, e in modi del tutto automatici. Ignorare tali semplici meccanismi, e il non informarsi nemmeno, sono a mio avviso – e non solo … – indice di scarsa professionalità. Dell’etica abbiamo già parlato.
I precedenti e le Petizioni contro mobbing, cybermobbing, cyberstalking e cyberbullismo.
Delle relazioni pericolose tra mobbing e social network avevamo parlato addirittura più di due anni fa, a marzo del 2018. In questo tempo avevamo pensato che certi meccanismi di funzionamento dei social fossero diventati conoscenza basica e comune. O almeno l’attenzione ad informarsi fosse diventata una skill naturale, oltre che necessaria.
Vedi sul tema, sul giornale Fede e Ragione, l’articolo Condividere su Facebook: una falsa contestazione disciplinare, veri rischi, fake news. E l’articolo Facebook: la crisi ? non è solo per la privacy.
E le petizioni che abbiamo lanciato su Change.org, e che ti invitiamo a firmare. Ricordando che oltre alla firma online – volendo può essere anche anonima – è necessario confermare tramite l’email che arriverà da Change.
- Legge contro mobbing e mobber e a sostegno delle vittime.
- Vogliamo che Facebook, Instagram e Whatsapp blocchino bullismo, molestie e cyber stalking.
Paolo Centofanti, direttore Fede e Ragione, direttore SRM – Science and Religion in Media.