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Umanesimo digitale, tra fede e ragione

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Umanesimo digitale, tra fede e ragione: dal cogito ergo sum al digito ergo sum ?

I nuovi mezzi di comunicazione, come ad esempio il web, i social networks, insieme al perfezionamento e potenziamento digitale dei mezzi preesistenti, come la televisione, la radio, la stampa, hanno creato in questi ultimi anni grandi opportunità, ma hanno anche determinato un cambiamento dei paradigmi della comunicazione, dell’efficacia e del modo con cui tali media possono raggiungerci, del modo con cui ci rapportiamo con essi e del modo con cui ci relazioniamo con gli altri esseri umani.

Articolo originale di Paolo Centofanti, direttore Fede e Ragione, su Academia.edu: Umanesimo digitale: dal cogito ergo sum al digito ergo sum.

Già Papa Benedetto XVI, nel suo messaggio per la XVI Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, sul tema Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale, aveva affermato che “Le nuove tecnologie non stanno cambiando solo il modo di comunicare, ma la comunicazione in sé stessa” e stanno determinando “una vasta trasformazione culturale”, nel modo di informarsi, di conoscere e comprendere il mondo, ma anche nel modo di interpretarlo, di interpretare gli altri, di relazionarsi con loro.

Ecco quindi che le nuove possibilità offerte dai mezzi di comunicazione, insieme all’estensione del loro potere e al crescere dei pubblici potenzialmente raggiungibili, portano anche nuovi rischi per coloro che fruiscono dei mezzi di comunicazione, insieme a nuove e più ampie responsabilità per coloro che li utilizzano.
Per ciò Benedetto XVI nel messaggio parla dell’esigenza di “uno stile cristiano di presenza anche nel mondo digitale”, che “si concretizza in una forma di comunicazione onesta ed aperta, responsabile e rispettosa dell’altro”; .

In questo senso si è espresso anche Papa Francesco nella sua prima udienza per i rappresentanti dei media, sabato 16 marzo 2013, parlando della Chiesa, della sua missione, e della sua difficoltà di comunicare sé stessa e di essere compresa; questo perché è una realtà differente da organizzazioni economiche, politiche o culturali : è una realtà “essenzialmente spirituale: è il Popolo di Dio, il Santo Popolo di Dio, che cammina verso l’incontro con Gesù Cristo”.

Solamente “ponendosi in questa prospettiva si può rendere pienamente ragione di quanto la Chiesa Cattolica opera” oltre che comprenderla come entità, che esiste “per comunicare proprio questo: la Verità, la Bontà e la Bellezza in persona”. Per questa ragione, quindi “dovrebbe apparire chiaramente che siamo chiamati tutti non a comunicare noi stessi, ma questa triade esistenziale che conformano verità, bontà e bellezza”.

Ecco quindi la necessità, ci sembra evidente non solo per la Chiesa, di una comunicazione che non confonda informazione con propaganda o proselitismo, che parli il più possibile del vero, dell’autentico, del bene, del giusto, e che abbia come obiettivo informare e soprattutto relazionarsi con i pubblici, che siano essi, per chi comunica, ad esempio fedeli, cittadini, lettori, o elettori.

Una comunicazione in cui, qualunque sia l’organizzazione che comunica e qualsiasi sia il fine che essa si pone, il consenso non può e non ha bisogno di essere orientato, ma può scaturire dal dialogo e dal confronto sul vero con quelli che devono essere considerati degli interlocutori, anziché dei semplici fruitori che si possono manipolare, magari in modi non dichiarati o non onesti, o persino per fini non etici.

Paradigmatiche, in questo ambito, strategie e prassi di comunicazione come quelle adottate ad esempio in ambiti scientifici, soprattutto biotecnologici, quando si vogliano giustificare e sostenere sperimentazioni non etiche, o persino non realmente utili per il pubblico o per la società, se non per i singoli ricercatori, o per le aziende economicamente interessate.

Oppure quando si voglia ottenere il consenso popolare su scelte economiche o politiche non socialmente condivisibili, se non contrarie persino ai reali interessi comuni, mentre sono dettate invece da logiche di lobbies o di gruppi di potere.
Un altro esempio possono essere distorsioni e errori della comunicazione e dell’informazione, soprattutto in ambiti giornalistici, che arrivano anche a creare veri e propri casi mediatici, che poi si rivelano inconsistenti, mistificati, quando sono frutto di non accurata verifica dei fatti e delle fonti, se non mistificanti quando invece derivano magari da logiche di campo politico, sociale, culturale.

Senza scendere nell’analisi di casi di studio, non coerenti con gli obiettivi di questo testo, né soprattutto compatibili con la sua brevità, sembra sufficiente citare casi noti, come le errate interpretazioni del discorso proprio di Papa Benedetto XVI a Regensburg, che hanno avuto anche tragiche conseguenze per la perdita di alcune vite umane, conseguentemente a sommovimenti popolari e attacchi a cristiani, per di più immotivati, perché nessuna offesa era stata realmente mossa verso il mondo islamico.

Oppure i frequenti annunci su scoperte epocali in ambiti scientifici o medici, che in realtà si rivelano totalmente non definitive, come invece i media avrebbero fatto sperare, quando non si dimostrano vere e proprie bufale senza fondamento.
Tutto ciò, in una società in cui l’informazione e la comunicazione sono pervasive, capillari, grandemente estese in quantità, mezzi, messaggi, ripetizioni, portata di azione.

E in cui i cosiddetti nuovi media, come il web e le reti sociali, in realtà già vecchi perché in continua trasformazione (al punto che anche il concetto ad esempio di web 2.0 è diventato superato), oltre ad avere un ruolo fondamentale in questi cambiamenti, hanno anche capovolto come accennavamo prima il paradigma del rapporto tra media e uomo, trasformando quest’ultimo, oltre che in un destinatario e un fruitore della comunicazione, anche in un comunicatore a propria volta, più o meno realmente, più o meno apparentemente.

Così nascono siti web individuali, o di gruppi di persone, che prima non avrebbero potuto in alcun modo rendersi estensivamente visibili agli altri, pubblicare, informare, comunicare; nascono i blog, gli account social, le pagine individuali, in cui i singoli si fanno testimonial di sé stessi, delle proprie passioni, delle proprie istanze civili e sociali; diventando così, inevitabilmente, anche vetrina di sé stessi, come conseguenza o come fine, ottenendo, che lo cerchino o no, potenzialmente molto più dei 15 minuti di notorietà che preconizzava Handy Warhol per ogni essere umano.

In questo mondo nuovo, si sentono gli echi del cartesiano “cogito ergo sum” trasformarsi, anzi deformarsi in un contemporaneo “digito ergo sum”: ovvero “esisto se sono presente e visibile sul nella rete”; inoltre “esisto non per ciò che sono, in quanto penso e per ciò che penso; esisto per come mi mostro, per come e quanto posso apparire sui media”, qualunque essi siano: web, televisione, stampa.

Così, l’homo novus dell’era mediatica aumenta le proprie potenzialità, la propria conoscenza, la propria capacità di comprendere e, forse, di essere compreso, e il proprio potere di comunicare con efficacia, teoricamente verso chiunque e dovunque. Una realtà impensabile e, apparentemente, desiderabile, per un umanista del rinascimento, che però, come gli umanisti del nostro tempo, assisterebbe ad una serie di paradossi:

  • un paradosso informativo e comunicativo, per cui la sovrabbondanza di informazioni rischia di livellare tutto e ridurre anche ciò che è realmente importante a poco più che rumore di fondo o, bene che vada, ad un picco nel mormorio indistinto, globale e costante, dei mezzi di comunicazione;
  • un paradosso umano, per così dire, per il quale essere informati su tutto ciò che di male, di tragico, accade nel mondo ai nostri simili, non ci rende più coscienti, consapevoli e attenti agli altri, ma anzi ci rende assuefatti al dolore, alla sofferenza, e trasforma l’empatia in apatia e senso del già visto, del già sentito;
  • un paradosso estetico, etico e sociale, per il quale la sovraesposizione ad esempio nelle reti sociali delle proprie intimità, dei propri io, autentici o da vetrina, ovvero abilmente costruiti per apparire meglio da sé, fa si che non l’interiorità prenda importanza, ma l’esteriorità. Non ciò che si è, ma ciò che si vuole apparire, probabilmente in linea con ciò che si vorrebbe essere, o con ciò che gli altri vogliono per accettarci, quando non per ammirarci.

Per questo, nel messaggio citato, Papa Benedetto XVI scrive: “E’ importante ricordare sempre che il contatto virtuale non può e non deve sostituire il contatto umano diretto con le persone a tutti i livelli della nostra vita”. Per quale ragione il Pontefice Emerito sottolinea quello che sembra una semplice e ovvia regola di buon senso ?

Perché l’utilizzo predominante dei nuovi media come strumento relazionale comporta il rischio di “essere meno presenti verso chi incontriamo nella nostra vita quotidiana ordinaria” ovvero “più distratti, perché la nostra attenzione è frammentata e assorta in un mondo differente rispetto a quello in cui viviamo”, virtuale, appunto, e non reale, e perché rischiamo anche di “non avere tempo di riflettere criticamente sulle nostre scelte e di alimentare rapporti umani che siano veramente profondi e duraturi”.

Note bibliografiche:

1 – Messaggio del Pontefice Emerito Benedetto XVI per la XLV Giornata delle Comunicazioni Sociali: “Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale”.
24 gennaio 2011 – Link.

2 – discorso Udienza Papa Francesco per i rappresentanti dei media, sabato 16 marzo 2013 – Link.

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