La Comunicazione etica nel lavoro e nello sport: l’intervento del presidente Bartoli al Coni.
“Non basta guardare fuori dalla finestra quanto avviene nella società: occorre anche guardare, senza omertà o timidezze, a quanto accade in “casa nostra”, all’interno della nostra professione. – così il presidente dell’Ordine Carlo Bartoli intervenendo al convegno on line, organizzato da VMT Comunicazione in collaborazione con l’Osservatorio nazionale Antimolestie al centro CONI di Roma, dal titolo La comunicazione etica nel lavoro e nello sport– “Esaminando la recente indagine sulle molestie sessuali nei media,- effettuata nel 2019 dalla CPO di Fnsi, alla quale hanno collaborato la CPO dell’Ordine e l’associazione G.i.U.L.I.A,- emerge un dato preoccupante riguardante le molestie nelle redazioni: il mondo del giornalismo non è esente da quanto accade nel resto della società, così come è simile la dinamica dei rapporti fra chi è autore delle molestie (quasi sempre un superiore) e chi le subisce (quasi sempre una giovane redattrice o collaboratrice). Viene di conseguenza la necessità di ricordare quanto sia importante applicare nella vita quotidiana quello che noi giornalisti abbiamo stabilito di applicare al nostro linguaggio per produrre informazioni. Si tratta non solo di raccontare in modo eticamente e deontologicamente corretto, quanto accade in merito al fenomeno delle molestie sessuali” Bartoli ha ricordato quanto stabilito in merito, dall’articolo 5 bis del testo unico della deontologia “ma anche di praticare nei gesti e nei comportamenti ciò che le nostre carte deontologiche indicano come i principi a cui attenersi, nello svolgimento della nostra professione. Principi deontologici che sono la proiezione in ambito professionale dei principi fissati dalla Costituzione che, ogni giorno e in ogni nostra atto, siamo chiamati a rispettare. Vi è la necessità di un confronto continuo sui temi di genere, nello sport e non solo- ha proseguito- Così come è necessario tenere alta la guardia su ogni forma di discriminazione: di etnia, di orientamento sessuale, di religione, di classe sociale.
Di seguito il discorso completo.
“Molestie e codici etici. La comunicazione etica nel lavoro e nello sport”
Ringrazio gli organizzatori, i relatori e in particolare la collega Patrizia Angelini. Felice di portare il saluto in un corso nel quale si incrociano i nostri valori in quanto professionisti e in quanto cittadini.
Richiamo quello che dice l’articolo 5bis del nostro testo unico della deontologia:
Nei casi di femminicidio, violenza, molestie, discriminazioni e fatti di cronaca, che coinvolgono aspetti legati all’orientamento e all’identità sessuale, il giornalista:
a) presta attenzione a evitare stereotipi di genere, espressioni e immagini lesive della dignità della persona;
b) si attiene a un linguaggio rispettoso, corretto e consapevole. Si attiene all’essenzialità della notizia e alla continenza. Presta attenzione a non alimentare la spettacolarizzazione della violenza. Non usa espressioni, termini e immagini che sminuiscano la gravità del fatto commesso;
c) assicura, valutato l’interesse pubblico alla notizia, una narrazione rispettosa anche dei familiari delle persone coinvolte.
Ormai dovrebbe essere acquisito che la correttezza del linguaggio, da parte del giornalista, che svolge una professione di rilevanza costituzionale, è un obbligo che va ben oltre la sfera strettamente lavorativa. Chi sceglie di aderire all’Ordine dei giornalisti si impegna a rispettare un’etica di comportamento che riguarda anche il proprio privato e soprattutto quella sfera della comunicazione che rappresenta una proiezione e un’estensione della propria dimensione privata. Mi riferisco in particolare al comportamento nell’ambito dei social media, anche nei profili personali, dove il giornalista è tenuto a rispettare la deontologia, come nell’esercizio dell’attività professionale.
L’informazione sportiva, svolge un ruolo di estrema importanza, avendo un’ampia risonanza nel pubblico. Il rispetto del codice deontologico è quanto mai dirimente soprattutto quando accompagna processi innovativi che tendono a favorire la parità di genere e rispetto ai quali sono inammissibili anche quelle minime “sfumature” di linguaggio che potrebbero alimentare quel retaggio culturale che porta a sottovalutare la gravità delle molestie e a non inquadrare quei comportamenti come socialmente pericolosi. A questo proposito è emblematico il recente caso dei commenti espressi in occasione dell’abuso commesso nei confronti di una giovane collega al termine di una partita di calcio di Serie A. Non sempre, anche all’interno della nostra professione, ci si è espressi con la necessaria nettezza.
Mi riferisco, inoltre, all’avanzare del protagonismo delle donne in alcune discipline sportive che venivano tradizionalmente considerate “esclusiva” del mondo maschile. Un po’ come è stato per le forze armate fino a qualche decina di anni fa. Basta fermarsi – per citare un esempio – al mondo del calcio per vedere come il ruolo dell’informazione sia importante per accompagnare la diffusione dei tornei femminili, stesso discorso, ad esempio, per gli arbitraggi. Qui i cronisti svolgono un ruolo ancora più delicato, essendo coloro che raccontano in diretta l’evento. E non sono mancati, anche se fortunatamente sono pochissimi, i casi in cui a qualche giornalista sia scappato qualche commento fuori posto sulla “calciatrice” o sull’arbitro “in gonnella”. Vi è quindi la necessità di un confronto continuo sui temi di genere, così come è necessario tenere alta la guardia su ogni forma di discriminazione: di etnia, di orientamento sessuale, di religione, di classe sociale. Non si tratta di ingabbiare il linguaggio, ma di far sì che nella comunicazione con il pubblico, che oggi avviene attraverso una infinità di canali e piattaforme, non venga offerto alcun appiglio a quanti, invece, riversano nel linguaggio le loro peggiori pulsioni di odio e violenza. Ricordiamo che, purtroppo, chi si nutre di linguaggi di odio, chi tende – soprattutto nel web – a immergersi in valori intrisi di violenza e discriminazione, può facilmente varcare la soglia che separa la sfera verbale da quella reale. E tutti noi, ognuno per il suo ruolo, a partire dai giornalisti, dobbiamo far sì che questo non accada e, al contrario, dobbiamo impegnarci affinché prevalgano sempre i valori del dialogo, della condivisione e dell’inclusione.
Ma non basta guardare fuori dalla finestra quanto avviene nella società: occorre anche guardare, senza omertà o timidezze, a quanto accade in casa nostra. Esaminando alcune recenti indagini delle CPO di Fnsi e Ordine, emerge un dato preoccupante riguardante le molestie nelle redazioni: il mondo del giornalismo non è esente da quanto accade nel resto della società, così come è simile la dinamica dei rapporti fra chi è autore delle molestie (quasi sempre un superiore) e chi le subisce (quasi sempre una giovane redattrice o collaboratrice) (Fonte: indagine sulle molestie sessuali nei media, Fnsi 2019).
Viene di conseguenza la necessità di ricordare quanto sia importante applicare nella vita quotidiana quello che noi giornalisti abbiamo stabilito di applicare al nostro linguaggio per produrre informazioni. Si tratta non solo di raccontare in modo eticamente e deontologicamente corretto, quanto accade in merito al fenomeno delle molestie sessuali, ma anche di praticare nei gesti e nei comportamenti ciò che le nostre carte deontologiche indicano come i principi a cui attenersi, nello svolgimento della nostra professione. Principi deontologici che sono la proiezione in ambito professionale dei principi fissati dalla Costituzione che, ogni giorno e in ogni nostra atto, siamo chiamati a rispettare.
Fonte: Consiglo Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti – CNOG.