Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha reso ieri al Senato della Repubblica le Comunicazioni per il Consiglio europeo del 23 e 24 marzo.
Grazie Presidente, onorevoli senatori,
il prossimo Consiglio europeo, che è il terzo dal giuramento del Governo, ha nella sua agenda sfide prioritarie per l’Unione europea, sfide che sono state anche al centro del dibattito dell’ultimo Consiglio europeo straordinario lo scorso 9-10 febbraio: sfide come l’Ucraina, la competitività, il mercato unico, l’economia, l’energia, l’emigrazione.
In questa fase complessa per il sistema internazionale, l’Unione europea è probabilmente chiamata al compito più arduo degli ultimi decenni: garantire la sicurezza del nostro Continente di fronte alla minaccia rappresentata dalla guerra di aggressione russa verso l’Ucraina; proteggere e sostenere il nostro tessuto socio-economico rispetto all’impatto che da quella aggressione deriva; predisporsi ai cambiamenti radicali che potrebbero profilarsi negli equilibri globali. Tutto questo ovviamente nel rispetto e nel sostegno dei valori di democrazia e libertà che ispirano il nostro percorso, ma che questo tempo necessariamente ci ha insegnato, una volta di più, a non dare necessariamente per scontati.
L’Europa e l’intero Occidente sono chiamati a rispondere a questa grande sfida con visione, con strategia, con efficacia e con tempestività.
L’Italia, che ho l’onore di rappresentare nel Consiglio europeo, ha oggi tutte le carte in regola per recitare in Europa un ruolo da protagonista e non da comprimaria. È esattamente quello che intendiamo fare, forti della nostra storia, della nostra collocazione geostrategica, della stabilità delle nostre istituzioni e del nostro Governo e della forza delle nostre idee.
Un primo banco di prova è certamente rappresentato dal tema dell’immigrazione, tema a cui il nostro Governo ha ottenuto che venisse dedicata gran parte del Consiglio straordinario di febbraio. Noi siamo di fronte a un’emergenza che potrebbe diventare, che sta diventando, strutturale. Questa definizione, che potrebbe sembrare un ossimoro, è invece la più realistica fotografia del contesto che attualmente ci circonda.
Alla frontiera meridionale marittima dell’Europa noi stiamo assistendo a una pressione migratoria senza precedenti e anche la rotta marittima orientale, sebbene con numeri che sono oggi più contenuti, non è meno complicata da gestire, come ben dimostra la tragedia di Cutro. Come voi sapete, all’indomani di questa disgrazia, io ho scritto al Presidente della Commissione europea, al Presidente del Consiglio europeo, al Presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea e agli altri leader europei per ribadire che noi non possiamo attendere oltre. Non possiamo aspettare inermi il prossimo naufragio, che è inevitabilmente un pericolo insito nei viaggi organizzati da criminali e scafisti senza scrupoli.
Le frontiere marittime dell’Italia sono frontiere dell’Europa e l’Europa è chiamata a difendere quelle frontiere, perché la posta in gioco è la vita e la dignità di tantissimi esseri umani, vittime di una tratta ignobile, e allo stesso tempo la sicurezza dell’intero continente.
Noi siamo di fronte ad organizzazioni criminali che lucrano sugli esseri umani. Vogliamo contrastare con forza questo traffico, come dimostrano i provvedimenti che abbiamo preso proprio in un Consiglio dei ministri che si è svolto a Cutro negli scorsi giorni. Fermare le partenze, collaborare con i principali Paesi di origine e transito dei migranti, aumentare i rimpatri, rendere efficienti i percorsi per la migrazione legale e la protezione umanitaria, dedicare risorse finanziarie che siano adeguate a questi obiettivi; sono queste le priorità che ci siamo dati e sono anche le priorità che abbiamo portato al tavolo dei leader europei.
Un ruolo chiave dovrà quindi averlo il rafforzamento della collaborazione con i principali Paesi di origine e di transito dei migranti, con risorse finanziarie adeguate agli obiettivi da raggiungere. Quante volte in quest’Aula abbiamo richiamato la risposta europea alla crisi migratoria del 2015 e l’onerosissimo accordo che ne derivò con la Turchia perché collaborasse a frenare i flussi lungo la rotta balcanica. Ecco io ritengo che pari attenzione e adeguati stanziamenti debbano oggi essere dedicati a contrastare i flussi irregolari lungo le rotte del Mediterraneo centrale e a creare nei Paesi di partenza alternative concrete alle migrazioni in termini di formazione, lavoro e sviluppo economico.
Perché lo voglio ribadire ancora una volta che prima di ogni ipotetico diritto di migrare, ogni essere umano ha il diritto di non essere costretto a migrare in cerca di una vita migliore.Questo è esattamente l’aspetto che Europa e Occidente hanno, a nostro avviso, in questi anni colpevolmente trascurato. Non solo; per lungo tempo, è capitato anche ai Governi precedenti spesso, l’Italia è stata rimproverata di non fare abbastanza per contrastare i cosiddetti movimenti secondari, cioè gli spostamenti di immigrati irregolari da uno Stato all’altro dell’Unione europea.
Al Consiglio europeo di febbraio noi abbiamo lavorato per ribaltare questa prospettiva secondo un ragionamento semplice e logico e, cioè, che c’è un modo solo per fermare i movimenti secondari ed è fermare, a monte, i movimenti primari e, quindi, le partenze irregolari.
Questo ragionamento comincia finalmente a fare breccia tra i nostri partner ed è per questo che io credo sia il momento di spingere con forza su un nuovo modello di gestione delle frontiere esterne, in particolar modo di quelle marittime, la cui specificità è stata finalmente riconosciuta grazie al lavoro e all’insistenza del Governo italiano. È frutto di questa stessa azione politica e diplomatica, recepita nelle conclusioni dell’ultimo Consiglio, la presentazione da parte della Commissione europea di un nuovo piano pluriennale di gestione delle frontiere esterne, con particolare attenzione proprio al Mediterraneo centrale. Il piano contiene affermazioni importanti, probabilmente impensabili fino a qualche mese fa, che sono state tradotte in una comunicazione e in una raccomandazione.
La comunicazione ha l’obiettivo di assicurare un quadro rafforzato di sorveglianza e controllo delle frontiere esterne dell’Unione attraverso un pieno ed efficace dispiegamento delle risorse operative di Frontex. È una scelta che io considero condivisibile, che fa finalmente giustizia dei tentativi di alcune famiglie politiche europee di indebolire e snaturare il mandato di Frontex. Il piano pone anche, per la prima volta in maniera compiuta, il principio del coinvolgimento degli Stati di bandiera delle navi ONG nelle operazioni SAR, che non possono e non devono più gravare esclusivamente sugli Stati di approdo. Gli Stati di bandiera, che finanziano le organizzazioni non governative, devono assumersi le responsabilità che il diritto del mare attribuisce loro.
La raccomandazione invece ha l’obiettivo di portare in tempi rapidi al mutuo riconoscimento tra i 27 Stati membri dei provvedimenti di espulsione degli immigrati irregolari, in modo che un ordine di allontanamento emesso dalle autorità italiane sia riconosciuto valido anche negli altri Stati e viceversa.
Questa impostazione, unita – come dicevo – al rafforzamento del ruolo di Frontex nel supportare gli Stati membri, vorrebbe portare a rendere finalmente effettive le procedure di rimpatrio degli irregolari: un tema che noi abbiamo posto con forza e che sta molto a cuore al Governo italiano. Sono certamente tutti passi che vanno nella giusta direzione e che segnano un cambio di paradigma rispetto alla narrazione che abbiamo conosciuto finora, ma voglio dire che non possiamo ancora dirci soddisfatti.
Nel prossimo Consiglio europeo, la Presidenza svedese e la Commissione europea presenteranno lo stato di attuazione delle misure decise cinque settimane fa, tra cui alcune di quelle che ho citato, e l’Italia in quella sede intende ribadire che non c’è più un solo minuto da perdere. Questo è il momento di agire: è ora di tradurre in fatti concreti quelle soluzioni, sulle quali il Consiglio europeo ha lavorato e ha trovato un accordo. Intendiamo vigilare affinché questo processo sia effettivo, rapido e incisivo, perché non vogliamo più piangere vittime innocenti nel Mediterraneo, perché non vogliamo più accettare che la selezione all’ingresso dell’Italia e dell’Europa la facciano gli scafisti e le mafie che li gestiscono, perché vogliamo un’immigrazione legale, regolamentata e compatibile e perché l’immigrazione illegale di massa penalizza soprattutto chi, scappando davvero dalla guerra e dalla violenza, avrebbe diritto alla protezione internazionale e spesso non trova aiuto, perché le quote di immigrazione possibili sono coperte da chi arriva illegalmente.
Di fronte a questa urgenza sono certa di avere con me la maggioranza degli italiani e mi auguro di avere con me anche la più ampia rappresentanza possibile delle forze parlamentari, anche di opposizione. Onorevoli colleghi, la battaglia politica, per chi ha idee credibili, si può efficacemente condurre senza dover dipingere il proprio avversario come un mostro. Anche nella più feroce polemica politica c’è, a mio avviso, un limite che non dovrebbe mai essere oltrepassato, il limite oltre il quale, per colpire un avversario, si mette in cattiva luce la Nazione intera, gettando ombre addirittura sugli uomini e le donne della nostra Guardia costiera e sulle nostre Forze dell’ordine, che invece dobbiamo ringraziare, perché da sola l’Italia si sta caricando un peso e una responsabilità, che dovrebbero essere condivisi anche da altri. Alla fine addirittura si finisce con il danneggiare la posizione negoziale dell’Italia sui tavoli internazionali. Lo dico da persona che non ha mai fatto mancare le proprie parole forti e la propria opposizione serrata ai governi che mi hanno preceduto. Colleghi, criticate ferocemente il Governo, criticate ferocemente me, le scelte che facciamo, i provvedimenti che prendiamo, le nostre eventuali mancanze, ma vi prego: fermatevi un secondo prima di danneggiare l’Italia, perché questo fa la differenza.
A questo proposito, per concludere il tema della migrazione e passare a quello geopolitico, in queste settimane ho visto molte polemiche su vari fronti, compresi su alcuni richiami che sono stati fatti e alcune attenzioni che sono state raccontate, sul ruolo che il conflitto in Ucraina può assumere nella destabilizzazione anche del continente africano. Credo invece che queste siano valutazioni sulle quali bisogna avere concentrazione e attenzione, perché abbiamo già visto come, a volte, i flussi migratori siano stati utilizzati come uno strumento di ricatto geopolitico: penso a quello che accadeva ai confini tra Polonia e Bielorussia, soltanto poche settimane prima dell’aggressione all’Ucraina.
Credo quindi che la particolare situazione geopolitica nella quale ci troviamo richieda un approccio molto approfondito alle materie che stiamo seguendo, e, come per la migrazione, l’unità dell’Unione europea è, a mio avviso, altrettanto indispensabile proprio di fronte alla guerra di aggressione russa all’Ucraina.
Come ho già ribadito molte volte, il popolo ucraino non sta difendendo solamente la propria terra; esso sta difendendo anche i valori di libertà e di democrazia sui quali si fonda la nostra civiltà, sui quali si fonda lo stesso progetto europeo. Sta difendendo le fondamenta stesse del diritto internazionale, senza il quale sostituiremmo la forza del diritto, al diritto del più forte: non esattamente una buona notizia, neanche per noi.
Pochi giorni dopo l’ultimo Consiglio europeo, come sapete, ho testimoniato personalmente, con la mia presenza a Kiev, il pieno sostegno italiano all’Ucraina e alla sua popolazione, in coerenza con l’impegno dell’Unione europea, della NATO e delle altre Nazioni vicine e affini. Un sostegno che sarà assicurato in ogni ambito: politico, umanitario, civile, militare e, finché sarà necessario, in coordinamento con i nostri partner e con i nostri alleati.
Continueremo a farlo senza badare all’impatto che queste scelte possono avere nel breve periodo sul gradimento, sul consenso della sottoscritta, del Governo, delle forze politiche di maggioranza. Continueremo a farlo semplicemente perché è giusto farlo sul piano dei valori e su quello della difesa dell’interesse nazionale. L’aiuto militare all’Ucraina è necessario per garantire la legittima difesa di una Nazione aggredita, in linea con la Carta delle Nazioni Unite.
Abbiamo formalizzato un sesto pacchetto di aiuti con misure che rafforzano soprattutto le difese aeree. Che significa, signori? Proteggere la vita dei civili. Significa fornire uno scudo di fronte ai bombardamenti indiscriminati che attaccano infrastrutture vitali per la popolazione, sperando che il popolo ucraino si pieghi dopo essere stato privato di acqua, di luce o di riscaldamento.
In questo quadro voglio dire con franchezza che considero puerile la propaganda di chi racconta che l’Italia starebbe spendendo soldi per mandare armamenti in Ucraina sottraendoli di fatto alle tante necessità dei nostri concittadini. Questo è falso, e in quest’Aula lo sappiamo tutti.
L’Italia sta inviando all’Ucraina materiali e componenti già in suo possesso, che, per fortuna, noi non abbiamo necessità di utilizzare e che inviamo agli ucraini anche per prevenire la possibilità di doverli un giorno utilizzare noi. Inviamo armi all’Ucraina anche per poter tenere la guerra lontana dal resto d’Europa e da casa nostra. Dunque, raccontare agli italiani che se non fornissimo le armi all’Ucraina si potrebbero aumentare le pensioni o si potrebbero tagliare le tasse è una menzogna che intendo chiamare con il suo nome.
Dico di più. Questo Governo, che, come sapete, è abituato a fare tutto ciò che considera giusto per difendere l’interesse nazionale dell’Italia, non ha mai fatto mistero – neanche quando eravamo all’opposizione, per quello che riguarda Fratelli d’Italia – di voler aumentare i propri stanziamenti in spese militari, come del resto hanno fatto i Governi precedenti un po’ di soppiatto, senza, cioè, avere il coraggio di metterci la faccia.
Noi crediamo, invece, che su queste cose si debba mettere la faccia e non abbiamo paura di dire che rispettare gli impegni assunti è vitale per la nostra credibilità internazionale e per la nostra stessa sovranità nazionale, perché banalmente la libertà ha un prezzo e, se non sei in grado di difenderti, qualcun altro lo farà per te, ma non lo farà gratuitamente. Imporrà i suoi interessi anche a discapito dei tuoi, e non mi pare sia mai stato un grande affare per nessuno.
Sul piano geopolitico e diplomatico, le pressioni esercitate su Mosca dal nostro punto di vista sono fondamentali per assicurare il rispetto del diritto internazionale, ma lo sono ancora di più per creare le condizioni migliori per l’avvio di un percorso negoziale per il raggiungimento di una pace giusta; condizioni che finora non sono maturate, ma che dobbiamo ancora perseguire con tenacia, come stiamo facendo ogni giorno.
L’aggressione russa ha avuto anche ripercussioni sulla sicurezza alimentare globale, contribuendo alla fragilità dello scacchiere africano e mediterraneo, quindi anche ai flussi migratori illegali. Ribadisco pertanto che sosteniamo l’accordo sull’export di grano nel mar Nero che è appena stato rinnovato e crediamo sia centrale anche il tema della futura ricostruzione dell’Ucraina, sulla quale credo che il sistema Italia sia pronto a dare il suo contributo. A questo obiettivo lavoriamo anche con la Conferenza sulla ricostruzione che ospiteremo proprio a Roma il prossimo 26 aprile.
Naturalmente la situazione che stiamo vivendo ha un impatto molto forte anche sui temi economici che verranno affrontati nel Consiglio europeo di giovedì e venerdì prossimi. Rimane fondamentale l’obiettivo del rafforzamento della competitività e della produttività dell’economia europea, in stretta relazione con la doppia transizione digitale ed ecologica. Su quest’ultima vorrei fare un passaggio e provare a essere ancora una volta chiara. In questa fase geopolitica internazionale non ci sono soluzioni semplici. Per quanto riguarda noi, il processo verso un’economia verde deve essere sostenibile dal punto di vista sociale ed economico. Per questo ci opponiamo a proposte come il regolamento sulle emissioni di anidride carbonica delle auto o la revisione della direttiva per l’efficientamento energetico degli edifici, perché, così come concepite, si traducono in una penalizzazione dei nostri cittadini e delle nostre imprese e rischiano di esporci a nuove dipendenze strategiche, proprio quando stanno andando in porto gli sforzi per liberarci dalla dipendenza dal gas russo.
Sul tema delle dipendenze la Commissione ha presentato proprio in questi giorni un Piano articolato e ambizioso sulle materie prime critiche, che si pone l’obiettivo di ridurre la dipendenza europea, particolarmente dalla Cina, diversificando i fornitori e rilanciando le capacità estrattive proprie. Il commissario Breton, nel presentare il Piano, ha dichiarato che in Europa abbiamo il 30-40 per cento di quasi la totalità dei minerali necessari al nostro fabbisogno interno ed evidentemente è arrivato il momento di dare i mezzi per estrarli e non accettare più che in Europa si consumi e basta, lasciando la produzione agli altri. Sono parole che sottoscrivo dalla prima all’ultima. Non intendo soffermarmi e non mi soffermerò sul ritardo con cui l’Unione europea approccia questo tema dopo decenni in cui ha rinunciato a questa visione, finendo per consegnarsi a nuove dipendenze, il cui prezzo rischiamo di pagare in questi e nei prossimi mesi; né mi soffermo sul fatto che finalmente si arrivi a queste soluzioni dopo anni nei quali chi sottolineava che ci fosse questa necessità veniva, nella migliore delle ipotesi, definito come “autarchico”.
Vorrei invece dire che il Governo italiano è pronto a fare la sua parte; è assolutamente convinto di dover fare la sua parte e che anche in questo caso un piano di tale ambizione necessita di un quadro finanziario e politico che sia chiaro e coerente. Sul piano finanziario è anche in questo caso necessario comprendere come finanziare queste misure con strumenti che ancora una volta non dovranno limitarsi solo a una maggiore flessibilità sugli aiuti di Stato, mentre sul piano politico questa ambizione chiama in causa gli stessi tempi e i modi della nostra duplice transizione: quanto più questa si accelera con target spesso di difficile raggiungimento, in assenza della necessaria diversificazione delle forniture, tanto più si aumenta la nostra dipendenza verso fornitori che oggi detengono quasi un monopolio sulle risorse necessarie ad alimentare la nostra transizione.
Porre questi problemi, come stiamo cercando di fare in queste settimane su alcuni importanti dossier del green deal, non vuol dire certo rinunciare agli obiettivi della sostenibilità ambientale; vuol dire invece rendere quegli obiettivi compatibili con la sostenibilità economica e sociale, da un lato, e con la piena sovranità politica ed economica, dall’altro lato. In questo contesto, la strategia commerciale dell’Unione europea deve tenere in debita considerazione anche concetti come nearshoring e friendshoring, ossia rilocalizzazione di produzioni nei Paesi vicini o nei Paesi amici. È essenziale mantenere un approccio di ampio respiro e un pieno sostegno europeo che garantiscano parità di condizioni e pieno funzionamento del mercato unico. Questa priorità è ancor più valida anche alla luce del nuovo quadro temporaneo per gli aiuti di Stato, che non deve creare disparità e deve prevedere aiuti circoscritti e temporanei.
Anche il completamento dell’Unione del mercato dei capitali costituisce parte integrante della nostra risposta comune. Un mercato dei capitali europei integrato è fondamentale per facilitare gli investimenti privati e colmare le lacune di finanziamento della transizione verde e della transizione digitale. Le conclusioni dell’ultimo Consiglio europeo riconoscono, grazie anche all’impulso italiano, l’importanza della flessibilità sui fondi europei esistenti. È essenziale anche qui mantenere l’attenzione politica sull’attuazione concreta di queste priorità, a maggior ragione perché non c’è ancora consenso tra i ventisette Stati membri su una strategia a lungo termine di sostegno finanziario europeo alla competitività nella forma di un fondo per la sovranità europea volto a sostenere gli investimenti strategici, sostenuto fortemente anche dall’Italia.
La flessibilità necessaria sull’utilizzo dei fondi esistenti, PNRR compreso, si accompagna all’altro grande tema oggi sul tavolo, decisivo per l’Italia, che è la revisione del Patto di stabilità e crescita. C’è ancora del lavoro da fare per finalizzare la revisione, ma riteniamo fondamentale arrivare entro il 2023 a nuove regole per dotarsi di principi credibili, realistici e coerenti con la situazione post-Covid. Stabilità e crescita meritano finalmente un equilibrio effettivo. Abbiamo avuto un Patto di stabilità e crescita che negli anni passati era molto più attento al tema della stabilità; oggi abbiamo bisogno di attenzione al tema della crescita: questa deve essere la nostra priorità.
Le vecchie regole sarebbero oggi assolutamente irrealistiche e quelle nuove devono invece sostenere con efficacia i considerevoli investimenti pubblici necessari in questi anni in tutti i settori strategici, compresi l’ambiente, la difesa, la digitalizzazione. Il tempo dell’austerità è finito e il percorso di riequilibrio dei bilanci pubblici degli Stati maggiormente indebitati non dovrà sacrificare la dimensione dello sviluppo economico, non solo per evitare di colpire ulteriormente famiglie e imprese, ma perché la crescita economica stabile e duratura è anche l’unica vera garanzia di sostenibilità del debito pubblico.
Il Consiglio europeo affronterà nuovamente anche il tema della sicurezza energetica, con l’obiettivo principale di valutare l’efficacia delle azioni intraprese finora e di verificare lo stato di preparazione in vista del prossimo inverno.
L’Italia, fin dal principio, ha sostenuto l’importanza di una risposta a ventisette, con strumenti e obiettivi comuni tesi a rafforzare il sistema energetico nel suo complesso; la diversificazione delle fonti, in particolare del gas naturale; la lotta contro la speculazione e le disfunzioni del mercato del gas, volta a ripristinare un livello di prezzi ragionevoli per famiglia e aziende europee; la riduzione della domanda energetica; l’accelerazione dello sviluppo e della diffusione delle rinnovabili; il rapido riempimento degli impianti di stoccaggio.
La decisione dell’Unione europea, fortemente lavorata e perseguita dall’Italia, di fissare un tetto massimo al prezzo del gas ha interrotto i fenomeni speculativi ai quali avevamo assistito nei mesi scorsi, con un enorme beneficio per le famiglie e le imprese italiane ed europee.
È in gran parte un merito dell’Italia che, una volta tanto, è riuscita a lavorare insieme a 360 gradi. Ed io penso che su questo tutti quanti dobbiamo essere fieri di noi.
Nelle conclusioni del Consiglio europeo vi sarà, infine, un riferimento allo sforzo europeo per le popolazioni colpite in Turchia e Siria dal recente terremoto. L’Italia, come sapete, ha prontamente risposto con l’invio di squadre di soccorso della Protezione civile e dei Vigili del fuoco, di beni e di contributi finanziari. Ha partecipato, ieri, alla Conferenza dei donatori, in uno spirito di vicinanza e solidarietà, nei confronti sia del popolo turco che di quello siriano. Continueremo, anche qui, a fare il nostro lavoro.
In conclusione, colleghi, la voce dell’Italia è e sarà sempre più una voce forte in Europa. È questo il mandato che abbiamo ricevuto dai cittadini ed è questo il mandato che intendiamo portare avanti nei prossimi cinque anni. L’Italia vuole tornare a essere una nazione protagonista nel contesto europeo, anche per fare la sua parte nel rafforzare e migliorare la casa comune europea. Questo è quanto intendo rappresentare al Consiglio europeo, ovviamente col sostegno del Parlamento italiano e con il mandato che ci darete oggi.