Abstract dell’intervento di Paolo Centofanti, direttore SRM e Fede e Ragione, al Congresso Donna e Mass Media, organizzato dall’Università Pontificia Regina Apostolorum e dall’Istituto di Studi Superiori sulla Donna.
Se il secolo scorso ha visto l’affermazione e la globalizzazione della comunicazione e dei suoi media, abbiamo la speranza che la prima decade del secolo in corso sarà caratterizzata da una progressiva nuova moralizzazione dei media. E’ un desiderio, una proposta, che nascono dalla constatazione che, in questi ultimi anni, i media spesso fanno cattiva comunicazione, e propongono, anche impongono, modelli comportamentali, sociali ed estetici, stili di vita, sempre più basati sull’esteriorità, l’apparenza o, per usare una parola fin troppo ricorrente, fondati sul glamour.
Certo, le ragioni sono molteplici. Le principali, sono le esigenze degli investitori pubblicitari e quelle conseguenti di audience e pubblico. La televisione, ha il suo stesso tribunale mediatico nell’auditel, e la sua sentenza, quotidiana, nei dati di ascolto. Il cinema, produce film / prodotti che devono essere venduti, e quindi devono essere attrattivi. E il product placement, a volte più o meno casuale, a volte funzionale alla stessa narrazione, ed il merchandising (con incassi speso superiori alle vendite di biglietti e diritti), hanno le stesse necessità di raggiungimento di ampi target di spettatori / consumatori.
Per la pubblicità occorrerebbe spendere qualche parola in più. La minor creatività di spot e campagne pubblicitarie nazionali, rispetto ad altri paesi, e la maggiore omologazione a stilemi ed archetipi tipici, come la famiglia bella e felice, donne perfette, uomini affascinanti e potenti, soldi e successo, non sono solo responsabilità degli autori delle campagne, ma soprattutto di una maggior propensione sia degli investitori, sia dei consumatori stessi, verso campagne di questo genere. Resta il problema che, si tratti di cinema, tv, pubblicità o altri contenuti e media, dall’altra parte delle scelte di comunicazione e di produzione, ci sono i consumatori/spettatori.
Problema più grave considerando l’inevitabile funzione pedagogica dei media, nel bene o nel male, e la loro funzione di orientamento del consenso. E visto che non tutti gli spettatori / consumatori hanno gli strumenti critici per filtrare ed interpretare la massa enorme di comunicazione che ricevono ogni giorno, per tutta la loro vita, ci si pone la domanda se e come gestire questa influenza pedagogica, soprattutto nel caso dei bambini sottoposti a questo continuo bombardamento di stimoli e messaggi fin dai primi anni di vita, e per tutto il periodo della loro maturazione psicosociale e culturale.
Anche perché la somma di tutti questi messaggi crea come risultanza un unico messaggio prevalente, se non esclusivo, che propone e impone come socialmente accettabili, o anzi desiderabili, modelli di perfezione estetica doverosa e irrinunciabile, di successo obbligato e raggiunto tramite percorsi di valorizzazione della solo esteriorità, o anche tramite compromessi con la propria moralità, e di denaro ottenuto sempre tramite meccanismi analoghi. E in una società in cui ciò che conta prevalentemente è apparire, possedere, essere qualcuno, i media stessi propongono gli strumenti per ottenere ciò.
Il proliferare di reality show, docureality, docufiction (le declinazioni possibili per descrivere tutto ciò che non dovrebbe essere del tutto fiction, sembrano diventare infinite ..), oltre a consentire a tv e società di produzione di realizzare prodotti a costi bassi ed ascolti elevati sembrano rendere concretamente possibile per chiunque l’ingresso da protagonisti nella realtà mediatica, ottenere denaro, successo, potere. I 15 minuti di notorietà per chiunque, come teorizzava Andy Warhol, sembrano uno standard minimo garantito.
Basta essere protagonista, vittima o testimone di un fatto di cronaca oppure partecipare ad un talk show, possibilmente come opinionisti. L’evoluzione successiva, cercata e desiderata da decine di migliaia di persone, è invece il reality show, in cui per sole doti estetiche, di personalità caratterizzata, di capacità relazionali, recitative, manipolative, si può diventare divi, effimeri però ricchi e famosi, perlomeno finchè il proprio personaggio non perde spessore mediatico o interesse.
Altro messaggio evidente e conseguente: non è necessario, né utile l’impegno nel lavoro, nello studio, per diventare qualcuno, anzi, tempo sottratto alla palestra, alle cure estetiche, ai mille provini. Tutto ciò, che lo si ammetta o no, determina una continua pressione psicosociale e costituisce un continuo attacco, per cristiani e laici, ai valori più autentici della morale, del lavoro, dei diritti e dello sviluppo dei bambini, della famiglia, della donna. La donna non è più rilevante in quanto madre, moglie, e persona con la propria cultura e individualità. E’ rilevante per la propria corporeità, la propria perfezione estetica, il proprio essere personaggio.
In una società in cui molto c’era e tuttora resta da fare per ottenere una parità reale tra uomini e donne, in cui non si riesce nemmeno a parlare di quote rosa, mentre altrove si raggiungono da anni senza doverle istituzionalizzare, l’evoluzione sembra essere non la crescita culturale e sociale, ma la carriera mediatica.
E il sesso stesso, da componente privata e intima, diventa un semplice ulteriore strumento di affermazione, merce fisica di scambio, o materiale per pubblicazioni e trasmissioni di gossip. E’ un vero e proprio attacco alla donna reale e alla sua figura come essere pensante e senziente, ed allo stesso tempo un attacco alla famiglia.
Sia perché lo stesso rapporto di coppia è stretto tra pressioni sociali, e modelli di perfezione irreali, sia perché il modello di donna e madre, costantemente raffigurato dai media, poco si concilia con la realtà quotidiana delle vere madri. Il bambino si trova a confrontare da una parte una donna ideale moglie perfetta, madre affettuosa ed efficiente, donna in carriera, sempre in perfetta forma fisica .. il tutto senza stress, ansie, senza difficoltà nel conciliare tutti gli impegni e tutti i ruoli; dall’altra la sua vera madre, che forse sempre così perfetta non è, magari con qualche chilo in più, e qualche volta nemmeno così serena. Ai suoi occhi, se il mondo dei media è per lui uno specchio del reale, se non riceve gli strumenti critici per capire che si tratta di una finzione, è la madre ad essere out, non adeguata al personaggio, al ruolo che svolge ogni giorno.
E se crescerà uniformato ai modelli estetici e comportamentali imposti dai media, dovrà adeguare sé stesso, e la propria futura compagna; essere perfetto, famoso, ricco, magari spietato o finirà per sentirsi inadeguato. Per fortuna, il mercato dell’entertainment, da qualche tempo sembra andare in direzioni diverse, anche per motivazioni economiche (pubblicità e incassi). Non è un caso se fiction come quelle realizzate su Papa Giovanni Paolo II, o la serie Don Matteo, ottengono risultati d’ascolto clamorosi, battendo di gran lunga reality show e altre trasmissioni più leggere.
Questo vuol dire che, se c’è una domanda per contenuti di questo tipo, l’offerta dei produttori si adegua e si adeguerà, e le richieste di inserzioni pubblicitarie anche. Per questo si può essere ottimisti forse sul futuro della televisione e dell’industria dell’intrattenimento, perché è la domanda che sta cambiando; basta che i produttori e i pubblicitari se ne accorgano e che magari il pubblico stesso li spinga in queste direzioni con la semplice arma delle proteste, delle segnalazioni, della richiesta di produrre un certo tipo di programmi. Possibili proposte per intervenire attivamente e criticamente in questo processo di cambiamento?
– Fare sistema, creare un movimento dopinione e network sociali, lanciando vere e proprie campagne di protesta o di richiesta, facendo pressione sui media e sui produttori.- Fare formazione. Creare occasioni e strumenti per fornire a bambini, giovani e adulti, strumenti critici per capire e interpretare i media, distinguere la realtà dalla finzione, e dallintrattenimento.- Eventi e campagne di Comunicazione:
– concorsi per campagne pubblicitarie o fiction etiche- concorsi per cortometraggi dedicati esclusivamente alle donne, o realizzati solo da donne, o dedicati solo ai temi della famiglia- o congressi, forum, come appunto il Congresso su Donna e Mass Media, organizzato dallUniversità Pontificia Regina Apostolorum, da cui è scaturito un “Manifesto per il rispetto della donna nei media”, riassumibile nel primo punto: Difendiamo e promuoviamo un´immagine rispettosa dell´identità della donna e della dignità della condizione femminile nei mass media.Per quanto si tratti di un lungo percorso, sarà possibile non subire passivamente il mondo dei media, ma plasmarlo, per quanto possibile, sui gusti e sulle esigenze reali della società.
Paolo Centofanti.
Il Congresso Donna e Mass Media è stato organizzato nel 2006 dall’Università Pontificia Regina Apostolorum e dall’Istituto di Studi Superiori sulla Donna.