Il Presidente Meloni all’Europa Forum Wachau.
Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è intervenuto all’Europa Forum Wachau, tenutosi presso l’abbazia di Göttweig, in Austria. Prima dell’inizio del Forum, ha rilasciato dichiarazioni alla stampa insieme al Cancelliere federale austriaco, Karl Nehammer. Al termine degli incontri, il Presidente Meloni ha tenuto una conferenza stampa per condividere i risultati delle discussioni.
Il punto stampa del Presidente Meloni
Il testo integrale dell’intervento del Presidente Meloni all’Europa Forum Wachau
Buongiorno, buongiorno a tutti.
Grazie davvero grazie al cancelliere Nehammer, grazie alla governatrice Leitner, grazie agli organizzatori, un saluto anche al Presidente Radev.
Davvero una straordinaria occasione per me. Questo è un appuntamento che si ripete ogni anno in un luogo carico di storia e carico di spiritualità. E quel luogo ci consente di riflettere sull’enorme portata, all’identità, alla storia e alla cultura europea, della civiltà Cristiana.
Noi in questa splendida abbazia nel cuore d’Europa, nella quale si vive la regola di un grande italiano che era San Benedetto, patrono principale del nostro continente, noi oggi qui parliamo di futuro d’Europa.
E secondo me questa scelta è molto importante perché per capire dove l’Europa debba andare bisogna prima interrogarsi su cosa l’Europa sia.
L’Europa, e noi a volte lo abbiamo o è sembrato che lo dimenticassimo, non è un semplice luogo geografico, né è un insieme di regole, né è un insieme di interessi. L’Europa è prima di tutto e su tutto una civiltà e quella civiltà è stata forgiata dai valori di luoghi come questo.
Io credo, per questo, che sia molto bello il segnale di questa mattina, per questo ho, con entusiasmo, accettato l’invito del Cancelliere Nehammer, del mio amico Karl Nehammer. Scopro che da 8 anni il Presidente del Consiglio italiano mancava qui in Austria, mi ha molto colpito perché siamo nazioni dirimpettaie, nazioni amiche, nazioni che collaborano in maniera estremamente significativa su molti fronti e volevo colmare questo gap, volevo farlo con questa iniziativa che io considero particolarmente importante.
Perché – vedete – in questa civiltà, della quale parlavo, il ruolo dell’Italia e ruolo dell’Austria, non sono due ruoli secondari. Austria e Italia sono ovviamente unite da un legame antico, a tratti travagliato nel passato, ma un legame che oggi è estremamente solido, amichevole, che è stato costruito dalla saggezza delle generazioni che hanno preceduto la nostra e che oggi è nostra responsabilità preservare, valorizzare e rafforzare, proprio perché il ruolo di Italia e ruolo dell’Austria non sono stati secondari nella costruzione dell’Europa.
Oggi queste nazioni hanno anche una responsabilità rispetto al futuro dell’Europa, l’Italia è storicamente un ponte naturale tra il nord e il sud dell’Europa, ha la sua testa in un pezzo di Mitteleuropa, i piedi bagnati nel mar Mediterraneo, lo sguardo storicamente rivolto verso i Balcani; l’Austria è storicamente un ponte tra quelli che Giovanni Paolo II definiva i due polmoni necessari all’Europa per respirare e cioè il polmone Est e il polmone Ovest.
Senza queste Nazioni l’Europa non sarebbe esistita in passato, senza queste Nazioni l’Europa non può esistere in futuro.
E allora ha senso che noi si discuta insieme, che ci si confronti insieme, su quello che ha funzionato e su quello che non ha funzionato perché oggi il compito che noi abbiamo, in un tempo sicuramente non facile, è quello di raccogliere questa eredità che abbiamo e portarla nel futuro.
Questa Storia, questa identità, la nostra amicizia, renderli un valore aggiunto per affrontare le tante, troppe sfide che abbiamo di fronte in questo tempo complesso.
La pandemia.
La pandemia ha scosso le fondamenta del commercio e della mobilità internazionali. E ha messo in luce le debolezze delle nostre catene di approvvigionamento. E i limiti di una globalizzazione che era stata preconizzata in maniera diversa da come poi si è materializzata.
Perché io credo che se si vuole davvero affrontare il futuro bisogna avere il coraggio di interrogarsi con verità sul passato, noi eravamo convinti che libero commercio senza regole avrebbe distribuito la ricchezza, che avrebbe democratizzato Nazioni meno democratiche delle nostre, e che alla fine il risultato sarebbe stato un win-win, ma le cose non sono andate così.
Il libero commercio senza regole ha verticalizzato la ricchezza, ha rafforzato i sistemi meno democratici del nostro ha, per paradosso, rafforzato attraverso il libero commercio senza regole le autocrazie e ha indebolito i sistemi democratici, perché noi ci siamo svegliati quando è arrivata la pandemia accorgendoci che non controllavamo più nulla. Accorgendoci che eravamo esposti a qualsiasi, si direbbe, batter d’ali di farfalla dall’altra parte del mondo che può scatenare una tempesta da te. Le cose sono andate così.
Quando ancora cercavamo di ripristinare il commercio internazionale il mondo che conoscevamo è arrivata l’aggressione russa nei confronti della dell’Ucraina che ha sconvolto i prezzi dell’energia, scatenato ovunque ondate di inflazione che hanno impattato soprattutto sulle nazioni più vulnerabili; e anche qui sono venuti a nudo gli errori di un Europa che nasceva come comunità economica del carbone e dell’acciaio, cioè nasceva esattamente per mettere in relazione la cooperazione tra Stati sulla materia dell’approvvigionamento energetico e dell’approvvigionamento di materie prime e oggi scopre di essere più esposta proprio in tema di approvvigionamento energetico e di approvvigionamento di materie prime.
Senza contare che il conflitto ha acuito i divari che già esistevano tra il nord e il sud del mondo, penso alle ripercussioni in termini di sicurezza alimentare per molti Paesi africani, già provati dal cambiamento climatico, da cui deriva anche una crisi migratoria senza precedenti che si riverbera soprattutto in Europa, soprattutto nelle nostre Nazioni.
La guerra ha messo a rischio la stabilità, la pace, la sicurezza globale, un’ordine mondiale che non è dato da un gruppo di Nazioni. Un ordine mondiale che è dato da un diritto internazionale che tutti rispettano e tutti garantisce.
Guardate quello che non capisce chi, anche da noi, anche magari per interessi di propaganda politica, sostiene che aiutare l’Ucraina significa sostanzialmente alimentare il rischio di un escalation del conflitto, quello che queste persone non capiscono – o fingono di non capire – è che è vero esattamente il contrario.
Se noi non avessimo aiutato gli ucraini se gli ucraini non avessero dimostrato il coraggio straordinario, insegnamento per il mondo intero, che cosa significhi tentare di piegare una Nazione libera e sovrana, se tutto questo non fosse accaduto, noi oggi vivremo in un mondo molto più insicuro; vivremmo con una guerra molto vicino a casa nostra, vivremo in un mondo nel quale alla forza del diritto si sostituisce il diritto del più forte, un mondo nel quale chi è militarmente più forte può liberamente invadere il suo vicino. A chi conviene un mondo così?
Quello che noi stiamo facendo è esattamente difendere la stabilità, la pace, la sicurezza e questo si fa sostenendo – come abbiamo fatto Italia, Austria, Bulgaria e le altre Nazioni, l’Unione europea che in questo è stata compatta dimostrando capacità di visione e di strategia – esattamente quello che stiamo facendo è garantire e preservare quella pace.
Ora vediamo gli accadimenti delle ultime ore, non siamo nella posizione in questi minuti di giudicare quello che sta accadendo. Una cosa possiamo giudicare: che certa propaganda che era stata fatta sulla compattezza della Federazione Russa oggi rivela la sua realtà.
Insomma non c’è che dire, noi siamo nel bel mezzo di uno scenario di crisi. Molte crisi.
Però le crisi sono un’occasione. Le crisi sono la vera occasione di mettersi in discussione, di ripensarsi, sono la vera occasione di scegliere. E scegliere è il sale della politica.
E allora questo è il nostro tempo è il tempo della politica.
Capire i nostri errori, correggerli, dire la verità, decidere, non temere di essere all’altezza della storia. Perché la storia è di fronte a noi e ci chiama a dimostrare il valore che abbiamo.
Allora io credo che serva una nuova una nuova era.
Credo che serva una nuova era, per esempio, nelle relazioni internazionali. Particolarmente nelle relazioni internazionali con il con i paesi del parternariato Sud, un modello fondato sulla collaborazione paritaria tra le nazioni, scevro da ambizioni predatorie da coercizioni economiche o di altro genere. Serve nei confronti di questi paesi un approccio meno paternalistico è più fattivo. A partire dall’ Africa.
L’Italia sta percorrendo questa strada dall’insediamento – particolarmente – del nuovo Governo. Ed è naturale che debba essere in prima fila in questo perché ce lo impone la nostra collocazione geografica, che ci rende allo stesso tempo una Nazione continentale e una Nazione mediterranea; ovvero la piattaforma naturale per il commercio, la piattaforma naturale per la logistica, per lo scambio economico e culturale tra i due continenti tra l’Europa e l’Africa.
Oggi noi vogliamo interpretare quel ruolo proiettando la penisola come futuro hub di approvvigionamento energetico dell’Europa intera, facendo da porta di ingresso, da piattaforma logistica, di un’energia per lo più pulita, che può, per parte significativa, essere prodotto anche dai Paesi africani. E il ruolo dell’Austria, in questo, è un ruolo fondamentale, noi lavoriamo insieme alle infrastrutture di collocamento il south corridor Italia, Austria e Germania, diventa un’infrastruttura fondamentale di collegamento per quello che noi chiamiamo piano Mattei per l’Africa.
Cioè un progetto attraverso il quale l’Italia stringe partenariati con i paesi produttori e lavora a costruire questo ponte ideale di collegamento tra Europa, Mediterraneo Orientale e Africa, questo significa investimenti in Africa e interconnessione con l’Unione europea, significa affrontare in un’ottica strategica e contemporaneamente il tema dello sviluppo africano.
Perché l’Africa non è un continente povero. L’Africa è un continente estremamente ricco.
È semplicemente un continente che non è stato sufficientemente aiutato a tirare fuori quelle ricchezze, a vivere di quelle ricchezze.
Ed è non solo una nostra responsabilità, è anche qualcosa che a noi torna strategicamente utile.
Oggi la produzione di energia pulita che si può fare in Africa, aiutando quelle nazioni a crescere, a vivere di ciò che hanno. Perché quando parliamo di flussi migratori dobbiamo ricordarci che il primo diritto che noi siamo chiamati a garantire non è il diritto a migrare, è il diritto a non dover emigrare, a non dover scappare dalle proprie case, dalle proprie famiglie, dalle proprie terre, semplicemente perché non sia un’alternativa.
Bisogna lavorare a costruire quella alternativa, e noi lo possiamo fare.
Con progetti come questo, che oggi ci consentono di lavorare in proiezione su come risolvere il nostro problema di approvvigionamento energetico, lavorare a come sviluppare la ricchezza di un’Africa che è potenziale ma c’è. Lavorare a un partenariato strategico al quale l’Europa in passato non è stata così concentrata, dal mio punto di vista.
E anche qui, anche in tema di migrazione, credo che occorra avere il coraggio di un approccio completamente nuovo. Ho apprezzato molto quello che ho sentito dire dalla Governatrice prima di me.
Perché, vedete, noi abbiamo vissuto un lungo tempo nel quale chi chiedeva di governare i flussi migratori illegali veniva sostanzialmente considerato disumano o razzista. E chi invece, diciamo, favoriva il fenomeno veniva considerato umano e solidale. Siamo sicuri che sia così?
Cioè, è davvero umano lasciare campo libero a trafficanti senza scrupoli che si fanno pagare anche 9 mila euro per un viaggio della speranza che produce spesso decine di migliaia di morti nel Mediterraneo.
Ed è umano consentire a questi scafisti di decidere chi debba arrivare e chi no in Europa. Non sulla base di che abbia più diritto ad essere salvato, ma sulla base del fatto che si abbiano i soldi per pagare quel viaggio.
Ed è umano, non governare quei flussi e poi magari stare lì a discutere tra di noi, a litigare perfino, su chi debba prendere in carico queste persone. Ed è umano far entrare queste centinaia di migliaia di persone che evidentemente, non essendo gestite non possono neanche essere adeguatamente ricomprese nelle nostre società, e poi magari lasciarle alle periferie delle nostre grandi città metropolitane, a spacciare droga o nelle mani della criminalità organizzata. Io non credo che questo sia umano.
Umano è cooperazione internazionale allo sviluppo, umano è dare priorità a chi davvero scappa dalla guerra, dalla violenza; umano è: che se hai diritto a venire in Europa, perché te lo consente la convenzione di Ginevra, perché te lo consente la protezione sussidiaria dell’Unione europea, tu non debba pagare degli schiavisti per arrivarci. Questo è umano, distinguere i rifugiati dai migranti economici, gestire le due materie in modo completamente diverso, perché diverse sono, lavorare con i Paesi di partenza e di transito, formare le persone che possiamo fare arrivare in Europa, dare loro una vita dignitosa.
Perché quello prevede la civiltà europea. Che quando tu vieni e scegli di partecipare alla crescita della mia comunità, quella comunità ti riconosca esattamente gli stessi diritti che riconosce ai suoi cittadini. E allora serve un nuovo paradigma, e noi lo abbiamo costruito. Voglio ringraziare per questo il Cancelliere Nehammer perché abbiamo lavorato molto bene su questo, anche per superare questo “scontro”, un po’ infruttuoso tra il tema dei movimenti secondari e il tema dei movimenti primari. È inutile tentare di governare i movimenti secondari se non si parte dal governo dei movimenti primari. E allora oggi lavoriamo sulla dimensione esterna, lavoriamo alla cooperazione con questi Paesi, abbiamo modificato il paradigma dell’Unione europea. Sono molto fiera di questo, non basta e lo sappiamo. Ci sarà un Consiglio europeo la prossima settimana. Siamo determinati a che vengano fatti concreti passi in avanti su questa materia.
Abbiamo cominciato per esempio con la Tunisia, dove abbiamo fatto un lavoro importante per il quale voglio ringraziare la Presidente della Commissione europea von der Leyen, è stata con me in Tunisia, dove c’è una Nazione che rischia un default finanziario, che non aiuterebbe a governare questa materia. L’Unione europea si è fatta sentire presente, sta lavorando e sono ottimista sul fatto che si possa presto raggiungere un accordo. E anche l’Europa deve ripensarsi.
In questo tempo si discute molto di allargamento. L’Italia sostiene con forza quello che, dal mio punto di vista, non è un allargamento ma è un ricongiungimento. Allargamento verso i Balcani occidentali e non solo. E il dibattito su questo allargamento porta anche l’attuale Unione europea ad interrogarsi sulle regole di funzionamento. Forse dovremmo ripensare le nostre regole di funzionamento prima di aprirci. Io non credo che la priorità sia ripensare le regole. Io credo che il tema sia ripensare le priorità.
Più saremo e più io credo sarà necessario applicare il principio previsto dei Trattati che probabilmente finora è stato applicato di meno. Quel principio è la sussidiarietà. Non si occupi Bruxelles di quello che può meglio fare Roma o Vienna, non facciano Roma o Vienna da sole quello che può fare solo Bruxelles. Io penso che si debba ragionare insieme e si debba comprendere insieme che l’Europa deve concentrare la sua attenzione strategica sulle grandi materie. Che sono state delle volte secondarie. Nel passato l’autonomia strategica, la competitività, il mercato unico, la sicurezza, la difesa dei confini, la transizione energetica e digitale, la politica estera continentale.
L’Europa ha il compito di stabilire gli obiettivi e ha, su queste materie, il compito di fornire gli strumenti per raggiungerli. Mentre io credo che non sia necessario per il ruolo dell’Europa occuparsi di normare fin nel dettaglio ogni singolo aspetto della vita quotidiana dei cittadini, perché quello lo possono fare meglio gli Stati nazionali, che conoscono meglio quei cittadini, anche per difendere le specificità che ogni Nazione ha. Faccio un esempio: transizione energia; anche qui, ho condiviso molto le parole della Governatrice. Noi condividiamo gli obiettivi della transizione energetica ovviamente, ma chiediamo neutralità tecnologica.
Fermi restando gli obiettivi, credo che lasciare la possibilità nelle varie specificità europee e nella varietà anche nei nostri sistemi economici di investire su tecnologie diverse per raggiungere quegli obiettivi, sia la scelta strategicamente più efficace che possiamo fare. Non solo per avanzare nella tecnologia europea, ma anche perché, come diceva correttamente la Governatrice, la sostenibilità ambientale deve saper camminare di pari passo con la sostenibilità economica e sociale. In altre parole, noi dobbiamo difendere sì la Natura, ma con l’Uomo dentro.
E questa sfida è una grande sfida che l’Unione europea si è data, che noi condividiamo, sulla quale bisogna essere molto lucidi nell’individuazione degli strumenti e delle regole.
E lo dico anche guardando al futuro Patto di stabilità e crescita, perché è ovvio che se l’Unione europea si dà degli obiettivi strategici e quegli obiettivi sono la transizione verde, la transizione digitale, il rafforzamento anche dell’autonomia in tema ad esempio di sicurezza, gli investimenti che sono necessari a raggiungere questi obiettivi devono essere tenuti in considerazione nelle regole di governance che noi ci diamo. E la strategia sulle materie di approvvigionamento deve essere una strategia lucida, perché se noi puntiamo tutto sull’ elettrico ma non abbiamo i componenti fondamentali per produrlo, vuol dire che stiamo semplicemente sostituendo una nostra dipendenza.
E scegliamo di dipendere da nazioni che devono ancora fare importanti passi in avanti in tema di transizione ecologica. Queste sono le materie che io credo si debbano insieme discutere e, in poche parole, noi abbiamo bisogno della politica. Abbiamo bisogno della politica perché l’Europa riesca a essere un gigante politico, non un gigante burocratico.
Questo è il tempo. Perché non dipende da noi, dipende dalle sfide che la storia ci pone di fronte. Alla fine il destino ci sfida, come diceva una bella canzone, “per spingerci ad essere fieri di noi”. Noi siamo chiamati a questo tempo, ad affrontare questo tempo a testa alta e con dignità, siamo chiamati a fare tutte queste riflessioni. E quindi torno su quello che dicevo: questo è il tempo della politica, il tempo di un’Europa che riesca finalmente ad essere un gigante della politica.
Quando vieni in un luogo come questo, o quando vai all’Abbazia di Montecassino, che sarebbe l’omologa italiana, ti sembra davvero di essere seduto sulle spalle di un gigante. Quando capisci che sei seduto sulle spalle di un gigante, allora, forse ti rendi conto di come quegli ostacoli che ti sembravano insuperabili forse alla fine sono alla tua portata. Quegli ostacoli sono alla portata della Civiltà europea, non alla portata di un’organizzazione, non alla portata di regole, non alla portata di burocrati, sono alla portata della Civiltà europea. E noi questo non ce lo dobbiamo dimenticare se vogliamo uscire più forti da questa situazione difficile.
Vi ringrazio.