Nel 25mo anniversario del progetto del CELAM, il Papa richiama all’importanza della speranza e della presenza umana accanto a chi vive il dolore, ricordando che Dio non abbandona mai i suoi figli.
Ieri, in occasione dei 25 anni del “Proyecto Esperanza” del CELAM, Papa Francesco ha accolto in Vaticano i rappresentanti del progetto, riconoscendo il loro lavoro instancabile a favore di persone segnate da sofferenze indicibili. L’incontro ha rappresentato un momento di profonda riflessione e speranza, in cui il Pontefice ha sottolineato l’importanza della presenza umana e spirituale in situazioni di dolore.
Nel suo saluto, Papa Francesco ha ricordato come “la nascita di ogni bambino sia sinonimo di gioia” che rinnova la speranza e ci richiama, simbolicamente, al “Natale di Betlemme”. Tuttavia, il Santo Padre ha evidenziato anche il contrasto doloroso tra questa gioia e la sofferenza causata dalla perdita e dal dolore. Citando le Scritture, ha detto: “Si sente un grido a Rama, gemiti e pianto amaro: Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più” (Geremia 31,15).
Attraverso queste parole, Papa Francesco ha evidenziato la profondità del dolore delle madri che perdono i propri figli, descrivendo come “il lamento delle madri si rinnova sempre con la memoria”, un concetto espresso anche da San Tommaso d’Aquino. Questo dolore è una ferita continua, una memoria che diventa sofferenza inestinguibile, poiché rappresenta l’antitesi della gioia legata alla nascita.
Riflettendo ulteriormente sul passo evangelico, Francesco ha richiamato l’episodio della fuga in Egitto: un dramma che sembra quasi allontanare anche Gesù dalle case segnate dal dolore. Ma, con un messaggio di forte speranza, il Pontefice ha affermato che “il male non ha l’ultima parola, non è mai definitivo”. È un richiamo alla fede in un futuro più luminoso e nella presenza amorevole di Dio che, come l’angelo che apparve in sogno a San Giuseppe, annuncia una nuova speranza oltre il deserto del dolore.
Il Santo Padre ha infine ringraziato il “Proyecto Esperanza” per il suo ruolo nella vita di tante persone sofferenti, paragonandoli agli angeli che offrono speranza e conforto: “Per molte persone, voi siete come quell’angelo”. Concludendo, ha invitato il gruppo a confidare nella “mano ferma di San Giuseppe” e a guidare le sorelle in difficoltà verso il calore di un focolare sicuro e accogliente, proprio come la casa di Nazareth.